venerdì 24 dicembre 2010

Felice Natale a tutti!



Van Honthorst, detto Gherardo Delle Notti (1590-1656), Adorazione del Bambino (1620) – Galleria degli Uffizi, Firenze

mercoledì 22 dicembre 2010

Con Sigismondo

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 22 dicembre 2010

Alle spalle della natalizia piazza sant’Oronzo, un tempo conosciuta come “piazza dei mercantoni” e pittoricamente ritratta in una romantica incisione del secondo decennio preunitario, è ubicata la piazzetta Sigismondo Castromediano.
Prima di giungere in piazzetta, ammiriamo lungo via Rubichi l’elegante Palazzo Carafa. Edificato sull’area dell’cinquecentesco monastero delle Paolotte e della chiesa dell’Annunziata per volere dell’allora vescovo Sozy-Carafa, l’edificio venne ultimato tra il 1764 ed il 1771 dall’architetto Emanuele Manieri e dal capomastro Oronzo Carrozzo secondo i raffinati linguaggi stilistici del periodo; la facciata principale è caratterizzata dal bel portale-balcone centrale disegnato dal leccese Ghezzi.
Proseguendo oltre sbuchiamo sull’ambigua, urbanisticamente parlando piazzetta Castromediano, affiancata qualche metro più infondo dalla Chiesa del Gesù edificata questa intorno al 1575 per ospitare i numerosi chierici dell’omonima Compagnia istituita negli anni trenta del cinquecento da Ignazio di Loyola. Il prospetto della Chiesa leccese semplice e sobrio, riprende i “dettami” architettonici della romana Chiesa del Gesù rielaborata progettisticamente dal Buonarroti prima e dal Vignola poi e conclusa sotto la direzione di Giacomo della Porta; la monumentale costruzione è considerata la “Madre” di tutte le chiese dell’ordine.
Al centro della piazza su di un elevato pilastro, sorge la statua bronzea del patriota cavallinese Sigismondo Castromediano il quale, prima di essere accusato di cospirazione contro il governo Borbonico, aderì agli ideali della Giovane Italia di Giuseppe Mazzini. Dall’alta posizione egli sorveglia silenziosamente preziose testimonianze archeologiche. Qualche anno fa durante i lavori di rifacimento del basolato stradale della piazzetta, sono riemersi importanti scavi archeologici; l’intera operazione di recupero e valorizzazione degli antichi resti, diretta dal Professore Francesco D’Andria e dall’equipe dell’Università del Salento, è stata ideata al fine di rivalutare le tre fasi archeologiche caratterizzate dalla presenza di cisterne olearie.
Gli scavi hanno riportato alla luce “tracce” stratigrafiche riconducibili a differenti periodi storici dall’Età del Ferro (I secolo a.C.) all’ Età messapica (IV-V secolo a.C.) sino al XIX secolo; questi reperti testimoniano l’importanza del Salento a partire dal I Secolo a.C. nella produzione ed esportazione dell’olio nel bacino del Mediterraneo.
L’esempio più arcaico è rappresentato dal lacus olearius di epoca romana databile al I secolo a.C. ed appartenente ad un complesso di un “trappeto”; successivamente nel sito troviamo un deposito oleario risalente all’età aragonese (XVI secolo d.C.) ed infine un ultimo deposito del XVII. Tramite la collocazione di apposite “vetrine-osservatorio” è possibile “sbirciare” in questi storici ipogei tuttavia, nonostante le enormi finestre abbiano una ventilazione naturale, spesso la formazione di condensa ed il riflesso delle luci non permettono al curioso fruitore una nitida visione degli ambienti sotterranei.

Giuseppe Arnesano

domenica 12 dicembre 2010

Nella Lupiae pagana

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 12 dicembre 2010


Lecce/ Porta San Biagio ed il Teatro Romano

da Flickr di Carlo Trqmgd
In questa seconda domenica cittadina percorriamo viale Francesco Lo Re dove, all’altezza con Piazza d’Italia si addorme il monumento dedicato ai caduti in guerra. Esso fronteggia Porta San Biagio ultima porta meridionale dell’antica cinta muraria. Porta San Biagio venne edificata intorno alla prima metà del XVI secolo poichè rientrava nel programma di riordino delle strutture difensive, ma dopo la demolizione della costruzione originaria, il grande arco venne ricostruito nel 1774 per volere dell’allora governatore di Terra d’Otranto Tommaso Ruffo.
L’edificio “difensivo”, incastonato tra gli storici palazzi residenziali, ci accoglie con un solo e monumentale fornice (apertura ad arco) affiancato da due coppie di robuste colonne doriche impostate su massicci plinti; la “greca” trabeazione, orizzontale elemento architettonico sostenuto da colonne e pilastri, è classificata secondo lo stile dorico e presenta lungo il fregio la classica scansione di triglifi e metope; la trabeazione, sormontata da un decorato ed intagliato fastigio, culmina con la statua del santo protettore.
Al di là della porta si prolunga via dei Perroni sulla quale risiede sin dal 1667 la volumetrica chiesa di San Matteo, caratterizzata da un’armoniosa facciata convessa in basso e da una concava in alto; proseguendo ci addentriamo nella chiassosa, almeno per quanto riguarda la movida notturna, via Ferdinando I d’Aragona (comunemente conosciuta come “la via dei pubs”) dove s’affaccia l’elegante ed architettonicamente incompiuta Chiesa di Santa Chiara. Imboccando la via che fiancheggia il lato destro della chiesa, ossia via degli Ammirati, incontriamo dopo qualche metro, la graziosa Piazzetta Raimondello Orsini al centro della quale riposa il minuto monumento scultoreo al più popolare condottiero “dei tredici di Barletta” tale Fanfulla da Lodi. Il bronzeo incappucciato uomo d’arme ci indica la stradina che conduce al defilato Teatro Romano.
Lo scenografico luogo della rappresentazione di tragedie e commedie nella Lupiae romana, venne costruito probabilmente nel I secolo a.C.; il complesso è stato “intagliato” nella viva massa calcarea e da essa si è ricavato il sistema a gradoni della cavea (area destinata al pubblico). La struttura rocciosa, costruita con il suddetto intervento utile nel contenere le spese dei materiali, venne casualmente scoperta nel 1929 durante alcuni lavori presso il cinquecentesco palazzo Romano e il palazzo D’Arpe. Il teatro poteva contenere almeno seimila persone; la cavea misura oltre 75 metri, attualmente si conservano soltanto 12 file dei gradini, l’orchestra vale a dire la parte davanti alla scena riservata alle danze è integralmente conservata e misura oltre 13 metri; la scena è andata perduta a causa dell’attiguo convento di Santa Chiara. Parte della ricca decorazione marmorea che abbelliva la scena teatro è conservata nelle sale del Museo “Sigismondo Castromediano”.
Gli edifici seicenteschi, che fungono da architettonica scenografia posta alle spalle della cavea, ospitano attualmente la sede del Museo del teatro romano. Su questo sacro luogo “pagano” svetta l’alto campanile del duomo, un’immagine che potrebbe rimandare ad un’arcaica inquietudine di controllo e pregiudizio da parte della più potente religione di stato nei confronti della laica cultura.

Giuseppe Arnesano

domenica 5 dicembre 2010

Sushi...greco

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 5 dicembre 2010

Prospetto della Chiesa Greca
Potrebbe far freddo, anzi dovrebbe...,rimaniamo a Lecce, per la nostra consueta “gita” domenicale...L’ingresso nel centro storico di Lecce è “trionfale” poiché siamo di fronte a quel monumentale “Arco di trionfo” eretto in onore dell’imperatore Carlo V; prospiciente ad esso s’ammira l’Obelisco borbonico innalzato intorno agli anni venti dell’ottocento. L’antica porta San Giusto, nota attualmente come Porta Napoli, è costruita sul luogo dove sorgeva la suddetta entrata cittadina. Il prospetto principale di Porta Napoli è orientato a nord-ovest, ossia lungo la strada che conduce alla città sul Golfo. L’imponente costruzione, edificata nel 1548 dall’architetto Giangicacomo dell’Acaya, è collocata in una zona isolata dal centro; alta circa ventuno metri, il grande accesso è costituito da una coppia di robuste colonne terminanti con capitelli compositi e sostenenti il triangolare timpano effigiante l’arme dell’Impero austro-spagnolo sorretto dall’aquila bicipite.
Dal gigantesco arco si scorge il rettilineo asse viario di via Principi di Savoia, proseguendo, notiamo la sobria facciata neoclassica del Teatro Paisiello e qualche metro più avanti ci affacciamo su piazza Giorgio Bavigli luogo sul quale è teatralmente concepita la piramidale Chiesa delle Alcantarine.
Arrivati allo svincolo con via Umberto I, che conduce alla scenografica Basilica di Santa Croce, cerchiamo di evitare il richiamo festoso dell’eccentrico “animo barocco” modellato ed imprigionato in forme e volumi, telanomi ed astanti prima di giungere da personaggi ed altri santi.
Gelosamente custodita tra gli edifici di color giallo paglierino, la chiesa di San Nicolò dei Greci meglio conosciuta come Chiesa Greca domina solitaria la piccola piazza antistante. L’edificio fu costruito ex-novo con linee architettoniche semplici nel 1765 da un progetto multiplo degli architetti leccesi Francesco Palma, Lazzaro Marsione, Lombardo e Vincenzo Carrozzo. L’essenziale facciata è suddivisa in due ordini da un’aggettante cornice marcapiano e da quattro paraste doriche che scandiscono verticalmente il prospetto. L’interno a navata unica rettangolare ha una copertura a volta; l’iconostasi, ossia il tramezzo in legno (o in muratura) decorato da preziose icone, divideva e divide lo spazio dedicato ai fedeli dal presbiterio (spazio riservato al clero).
Il prezioso elemento architettonico è caratterizzato da tre porte, una centrale e due laterali in quella mediana è raffigurata l’immagine del “Noli me tangere” mentre gli sportelli laterali custodiscono gli arcangeli Michele e Gabriele. Le quattro sezioni del sacro muro sono scandite da otto semi colonne che supportano quattro tavole a fondo oro nelle quali sono presenti le icone della Vergine col Bambino, del Cristo sommo sacerdote, di San Giovanni Battista e San Nicola di Myra. La parte terminale dell’iconostasi è corredata da una composita teoria policroma delle Storie della vita di Cristo e dei ritratti degli Apostoli, sopra di essa il minuto trittico della Deesis (ossia l’immagine archetipica del Cristo benedicente affiancato dalla Madonna e S.Giovanni Battista) chiude il registro iconografico ortodosso; alle spalle dell’iconostasi si trova l’altare. Attualmente nell’edifico si riunisce la comunità di rito greco-bizantino.
A pochi passi da questo piccolo scrigno liturgico nel cuore del centro storico si trova lo ShuiBar il noto ritrovo della night life leccese; un luogo ideale con un’atmosfera raccolta dove si può associare ed assaporare il gusto della tradizione culinaria salentina alle deliziose e saporite pietanze orientali del sushi. Stasera il consueto appuntamento domenicale con le jam session ed il grande jazz.

Giuseppe Arnesano

mercoledì 1 dicembre 2010

Flashback

Pubblicato su CoolClub
(dicembre-gennaio 2010)

Le sale della 37Art Gallery di Lecce ospitano fino al prossimo 5 Dicembre l’esposizione personale di Sergio Lombardino intitolata: “Flashback”. Affermava Warhol: “La Pop Art è un modo di amare le cose”. Le opere esposte dall’artista romano sono caratterizzate da stilemi che abbracciano la “mitica Pop Art statunitense”, non tanto per quel che riguarda la sua peculiare tecnica pittorica, intrisa di retaggi afferenti all’arte del restauro appresa dalla sapiente maestria antiquaria-artigianale del padre, ma quanto per quella eclettica e frizzante rielaborazione dei grandi temi dell’immaginario contemporaneo: la tecnologia, la macchina, la merce,la fotografia, il fumetto ed il paesaggio urbano. Attraverso un disegno vibrante e particolareggiato, Lombardino offre al fruitore una personale visione del suo modo di intendere quell’arte “tanto cara alla cultura popolare di massa”, palesata sia nell’istantanea prospettiva di un’eccentrica e piovosa Times Sqauere, sia nel fermo immagine cenerino di un’imponente locomotiva d’altri tempi. Le sue opere possono essere intese, a mio avviso, come affascinanti “frammenti di vita” e, inquadrati dettagliatamente, accentuano quegli accattivanti scorci autobiografici vissuti nelle velature noir della sua Roma; nonostante la stesura di quel monocromo al grigio fumo che “sporca” la superficie pittorica, l’immagine assume un sentimentale effetto di un’antiquata pellicola cinematografica, a tratti nostalgica ed allo stesso tempo iconograficamente aggiornata; egli elabora il colore fino a farlo “invecchiare” articolando la struttura compositiva del soggetto per mezzo di una serie di numerose modulazioni. Durante il processo creativo, l’artista adopera sia olii che smalti, impiegati il più delle volte tramite la tecnica dell’Action Painting, assieme alla commistione di particolari effetti sul fondo della tela ottenuti con l’utilizzo di vecchi fogli di giornali; il dripping, ossia lo “sgocciolamento”, sigla la conclusione del “processo” artistico di Lombarino. Nell’aforisma di Warhol si può leggere il senso dell’espressione pittorica dell’artista capitolino, catalizzata nel solco dell’azione del “significante”, ovvero della “forma”, sia essa una Fiat 500, Topolino o Che Guevara che, rinvia ad un intimo contenuto/emozione che ognuno di noi ha vissuto e riversato in essa. Le seducenti “cose” raffigurate da Lombardino sono meravigliose immagini contenutistiche poiché, nonostante siano create dall’amore e dalla passione dell’artista, hanno la forza di esprimere un comune sentimento condiviso e compreso dall’intera società.

Giuseppe Arnesano

sabato 27 novembre 2010

Da Rudiae...


Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 28 novembre 2010


In questa ultima domenica di fine mese il nostro itinerario prosegue alla “scoperta” delle piccole e grandi meraviglie del centro storico di Lecce. Giunti nei pressi di Porta Rusce o Rudiae, conosciuta per il nome della strada che conduceva all’antica città messapica di Rudiae, la succitata venne edificata probabilmente da un progetto dell’architetto Giuseppe Cino intorno al 1703. Sul punto più alto del monumentale valico situato a sud-ovest del centro storico, svetta la statua di Sant’ Oronzo affiancata lateralmente dalle rocciose figure di Santa Irene e San Domenico entrambi precedenti protettori della città. Varcato l’enorme arco di trionfo si proietta sotto ai nostri piedi e fino a perdersi tra le decorate diramazioni urbanistiche del centro il “decumanus maximus” ossia Via Libertini. Lasciando alla spalle la porta e percorrendo la suddetta via abbiamo l’impressione che, gli accatastati edifici sacri e civili aggettanti sul lungo asse viario, si spalleggino silenziosamente cercando di fare bella mostra di se. Da un lato, l’insolente e fantasiosa facciata della Chiesa di San Giovanni Battista, comunemente detta del “Rosario”, sembra sopraffare il sobrio prospetto del vecchio convento domenicano di S. Giovanni D'Aymo (Accademia di Belle Arti) mentre, dal lato opposto si contrappone, con fare scorbutico, la poderosa e robusta costruzione bugnata dell’ex Ospedale dello Spirito Santo; situato poco più in fondo alla via, leggiadramente dall’alto dei suoi 68 metri, spicca il “restaurato” e slanciato campanile del Duomo che, non curante delle estetiche baruffe tra ingombranti e polemici edifici ubicati al di sotto della sua altitudine,osserva discretamente la scena. Probabilmente il sito originario, sul quale attualmente sorge la cinquecentesca fabbrica dell’Ospedale, venne adibito a luogo per la cura dei poveri infermi già verso la fine del XIV secolo, allorquando Giovanni d’Aymo ricco commerciante fiorentino residente a Lecce, commissionò le costruzioni di una chiesa,di un convento e di un ospedale affidati interamente ai padri domenicani; ufficialmente l’ospedale venne fondato grazie all’emissione di una bolla pontificia del 1392 vergata dall’allora pontefice Bonifacio IX. Un centinaio di anni dopo invece, si decise di ampliare il progetto originario sui disegni realizzati dal mastro architetto Gian Giacomo dell’Acaya; secondo le fonti il nuovo Ospedale sarebbe stato edificato o ricostruito nel 1548. L’intero edificio presenta una linea severa scandita da coppie di paraste scanalate e da una marcata fasciatura bugnata (opera in muratura costituita da bugne,ossia pietre di forma e di aspetto diverso che sporgono uniformemente dalla superficie del muro a scopo decorativo). Il complesso si sviluppa su due piani quello inferiore che, oltre alla pesante fascia marcapiano, è completato da un solenne portale a tutto sesto bugnato sopra il quale è collocato uno dei cinque orologi ottocenteschi presenti in punti differenti della città; all’epoca tutti sincronizzati elettronicamente. Il piano superiore invece è arricchito da una serie di eleganti finestre decorate e racchiuse in morigerate cornici. Il duro decennio francese incentrato dal 1806 al 1815 impose la soppressione degli ordini religiosi ed il convento passo sotto la “legislazione” del Demanio Regio; nel 1898 l’ospedale ebbe una nuova sede ossia quella che attualmente conosciamo come “il vecchio” ospedale Vito Fazzi, successivamente il complesso divenne sede della Direzione compartimentale dei Tabacchi, inoltre una delle due “infermerie” ospita una sala cinematografica. Un’ennesima trasformazione è prevista per quell’ex opera pia e riguarda la futura sede della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le provincie di Lecce, Brindisi e Taranto. Poco più avanti nei pressi della chiesa di Santa Teresa segnaliamo un appuntamento con le squisitezze ed abbondanti degustazioni dell’aperitivo alla milanese offerte dal ristorante Blanco.
Giuseppe Arnesano

lunedì 22 novembre 2010

Vicino le "pentite"

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 21 novembre 2010

Dopo gli innumerevoli itinerari vissuti tra località pianeggianti ed improvvisi rilievi collinari, questa domenica gironzoliamo tra le viuzze del centro storico di Lecce. I ramificati vicoli serpentini che dalla periferia cittadina conducono nel cuore urbanistico della città barocca, sono caratterizzati da affascinanti e, in qualche caso, minute strutture architettoniche incastonate tra le alte e poderose murature degli ottocenteschi palazzi signorili. Percorrendo la frequentatissima via Paladini, in direzione della “sezione” posteriore del complesso di piazza Duomo,ammiriamo, giunti in vico dei Sotterranei, la “morigerata” chiesa di San Sebastiano.Il sacro edificio è situato su di una sottostante area paleocristiana consacrata anticamente ai santi Leonardo, Sebastiano e Rocco e venne successivamente ricostruito e riconsacrato a San Sebastiano (che in greco significa venerabile) allorquando, la sopraggiunta minaccia della peste, costrinse alcune nobili famiglie locali ad offrire doni ed elemosine in favore dell’edificazione di una chiesa in onore del Santo protettore degli appestati, solitamente legato alla presenza di San Rocco
Dalle pagine della “Lecce Sacra” redatta dal noto storico locale Giulio Cesare Infantino, apprendiamo che la data di inizio dei lavori è vergata all’anno domini 1520. L’edificio con pianta a navata unica è caratterizzato esternamente dal prospetto a capanna, decorato da una sobria teoria di archetti pensili; a questi si aggiunge, collocato nella zona alta del timpano, un delicato bassorilievo raffigurante “la veronica” ossia il volto di Cristo. Secondo la Dottoressa Luciana Palmieri,presidente dell’omonima Fondazione, il piccolo manufatto effigiante l’immagine descritta rimanda “ai Mandylion del nostro tardo bizantinismo relativo ad uno scultore attivo a Lecce intorno alla metà del XVI secolo”. Il mandylion era originariamente un velo, sul quale era raffigurato il volto del Nazareno; secondo tale tradizione l’acheropita, ossia immagine miracolosa non fatta da mano umana; al XVI secolo invece, risale il raffinato portale d’ingresso,composto da due colonne scanalate sostenenti la classicheggiante decorazione del fregio attribuito interamente alla mano del Riccardi. All’interno dell’edificio il corpo unico della navata è intramezzato da un arco trionfale ove giace “l’arme”cristologico emblema di una confraternita; subito dopo l’arco risalta alla vista l’ampia zona presbiteriale. Tempo fa le nicchie delle arcate laterali custodivano sia delle decorazioni murarie “a fresco” che degli altari secondari; nonostante i secoli ed i rinnovati restauri persiste un continuo e silenzioso dialogo religioso tra i frontali affreschi collocati nelle arcate a tutto sesto e raffiguranti da un lato la “Madonna degli Angeli che appare a S. Antonio e S. Francesco” e dall’ altro una “Deposizione”. Intorno alla fine del XVI secolo la chiesa e l’attiguo Conservatorio di S. Sebastiano ospitarono le suore Cappuccine, ossia quelle donne dette “le pentite” che, dopo una vita viziosa e dissoluta cercavano la redenzione attraverso il voto di clausura.
(Per la redazione di questo testo si è consultato uno scritto di L.Palmieri e G.Colaianni del Maggio 2008).Questa sera nell’ambito del FESTIVAL del XVIII SECOLO si svolgerà all’interno della navata della chiesa un concerto dal titolo : “Mozart e Salieri” di Aleksandr Sergeevič Puškin, Dramma in due scene; a cura di Giovanni De Monte - Salieri, Fabio Tinella -Mozart,Anna Aurigi –soprano, Corrado De Bernart - pianoforte. Con musiche di Antonio Salieri e Wolfgang Amadeus Mozart a seguire: degustazione a cura dell'Azienda Vitivinicola Carmela Scippa Stefanizzo.

Giuseppe Arnesano

domenica 14 novembre 2010

Sulla Naturale Altura

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 14 novembre 2010
Trascorsa la pluviosa settimana ed il giorno dedicato a Martino, leggendario giovanotto d’animo generoso e novello spadaccino ricordiamo che, secondo la tradizione il Santo dopo aver donato metà del suo mantello ad un povero pellegrino, proseguì per il suo cammino accorgendosi dopo qualche passo, che il malo tempo si rischiariva come d’incanto. Sull’esempio del rituale auspicio, questa domenica percorriamo le strade dell’entroterra salentino e diretti nella zona centro meridionale del territorio, raggiungiamo il piccolo Comune di Scorrano.
Dopo aver superato il signorile centro di Maglie, proseguiamo lungo il “campestre” rettilineo di Via Scorrano e poco prima di varcare i confini amministrativi del piccolo comune, si proietta sull’asfalto l’ombra di un grosso rapace.
Due sono i monolitici “testimoni” delle antiche civiltà che dimorano saldamente nelle attigue terre; il territorio di Scorrano fin dai tempi più remoti è geograficamente favorevole all’insediamento umano, sia grazie ai fecondi terreni che alla semplice reperibilità dell’acqua potabile, ma la caratteristica strategica del luogo riguarda la facilità difensiva dovuta alla naturale altura del paese. Solida è quella tradizione che conferma l’origine romana del primo nucleo abitativo, legata al nome del console Marcus Aemilius Scaurus, probabile fondatore di Scorrano durante il periodo della dominazione “capitolina” in Salento. Nonostante le suddette ed “accreditate” fonti, la ricerca non ha riscontrato la presenza di elementi concretamente scientifici, ma è più credibile presumere che l’origine del Comune sia dovuta alla volontà del romano Scurra valoroso reduce dell’età Repubblicana. Alcuni storici, invece, ritengono che la formazione di Scorrano, come centro rurale fortificato,sia avvenuta in epoca bizantina; quest’ultima ipotesi viene sostenuta poichè si sono potuti paragonare determinati elementi toponomastici e religiosi con altri archeologici e storiografici.
Dopo la caduta dell’impero romano, le successive fasi evolutive della storia locale e non, hanno restituito numerose tracce documentarie: l’epigrafe tardo-bizantina e quella relativa all’anno 1268, nella quale si attesta che nell’atrio del castello di Gallipoli avvenne l’impiccagione dei baroni “ghibellini” Angelo e Piero di Scorrano, fedeli alla famiglia imperiale degli Hohenstaufen e perciò ostili alla nobiltà salentina vicina alla corte di Carlo d’Angiò.
Questa tappa itinerante è caratterizzata dalla furtiva presenza sagomata di un’aquila che silenziosamente ci osserva sin dal nostro ingresso in paese; essa ci conduce tra i vicoli del centro caratteristicamente inglobati nell’antica cinta muraria e, dopo aver superato l’acuta Porta Terra o Arco di Santa Domenica, “luminosa” patrona di Scorrano, raggiungiamo dopo qualche metro il prospetto ingentilito della Chiesa matrice della Santa protettrice. La costruzione del sacro edificio abbraccia più secoli, dal XVI al XVIII ed è costruita interamente da maestranze salentine coordinate probabilmente dalla figura di Placido Boffelli; la pianta dell’edificio è a croce latina e s’alza su tre navate dalle quali la centrale è la più elevata,mentre all’esterno spicca, oltre allo scenografico ingresso principale fiore all’occhiello della facciata di carparo scandita da paraste, la torre campanaria a due ordini.
L’aquila sembra essere socievole, volteggia e si fa rincorrere, e dopo una piacevole passeggiata proseguiamo sulla via Lecce – Leuca dove s’intravede il robusto blocco della Chiesa della Madonna della Luce edificata questa intorno al 1700 sui resti di una preesistente struttura sacra. Particolarmente interessante è il poderoso incastro di forme geometriche identificate nella pianta ad unica aula di forma ottagonale, sulla quale si innesta la cupola terminante con lanternino. Il prospetto esterno è decorato dalle quattro imponenti statue raffiguranti Sant'Andrea Apolstolo, San Giovanni Evangelista, San Giuseppe col Bambino e la Madonna della Luce protettrice delle partorienti. Probabilmente l’azione protettiva dalla Madonna s’affianca a quella visione popolare che associa la sagoma della cupola al seno femminile. Giunti al confine Sud di Scorrano, ritroviamo quel fiero e volteggiante rapace che all’improvviso s’allontana tra le fronde delle vecchie querce del Bosco del Belvedere,quest’immagine è il simbolo di Scorrano. Proprio Questa domenica a Scorrano si svolge il secondo itinerario della manifestazione San Martino in Cantina evento affiancato all’iniziativa Per la vie gustose del Salento con escursioni in bus e guida turistica gratuita. L’itinerario enologico di Scorrano si svolgerà presso l’azienda agraria Duca Carlo Guarini dove si degusteranno le produzioni aziendali di vini, oli extravergine d’oliva e prodotti tipici in un contesto di grande fascino ed eleganza, reso ancor più suggestivo dalla tradizionale pizzica salentina degli Agorà nell’antico agrumeto.
Giuseppe Arnesano

venerdì 12 novembre 2010

Hanno scritto di noi - Twins Painters

Hanno scritto di noi - Twins Painters

Strappare la notte

Pubblicato sul Il Paese Nuovo martedì 20 gennaio 2010


Arte Contemporanea/ Raphael Art Gallery

La Raphael Art Gallery continua il suo viaggio tra le lingue e le espressioni dell’arte contemporanea. Fino al prossimo 24 gennaio, le sale della galleria ospitano la Collettiva City of Angels, allestita con le opere di Angelo Accardi, Dino Sambiasi, Alfonso e Nicola Vaccari e Akira Zakamoto.
Secondo le parole di Luca Renna, curatore della Raphael Art Gallery: “questa mostra ha la pretesa di mostrare gli angeli nascosti nei quali giornalmente ci si imbatte. L’esposizione ha una ambizione chiara, ingrandire sempre più la domanda di significato che la vita ci propone. Per visitare questa mostra non c’è bisogno di grande esperienza artistica, c’è bisogno di saper sognare ad occhi aperti e di saper guardare la realtà una volta finito il sogno”.
Immerso nei colori e nelle suggestive rappresentazioni di questi sensibili artisti, mi soffermo a osservare i cinque notturni urbani eseguiti dai gemelli Vaccari, che d’improvviso suscitano in me, rimandi compositivi e coloristici, paralleli alla poetica di Edward Hopper, uno degli artisti americani più importanti del secolo scorso, che nel corso della sua produzione artistica, ha saputo offrire con evocativo realismo pittorico, uno spaccato della società statunitense degli anni Venti-Quaranta. 
Hopper come caposcuola dei realisti affermava:”Il mio obiettivo in pittura è sempre stato ottenere la trascrizione più esatta possibile delle più intime impressioni che ho sulla natura” e credo che le opere dei gemelli Vaccari, trasmettano proprio quell’ “intima impressione della natura”, una “natura” che è espressione della loro realtà vissuta quotidianamente e che si compone di bagliori intravisti nella notte, di percezioni visive e di immagini sfocate, tutti rapidamente bloccati in un istantanea dalle grandi dimensioni.
Entriamo nel vivo della Collettiva Collettiva City of Angels, a diretto contatto con gli artisti Alfonso e Nicola Vaccari:

Notturno


In che modo nasce la vostra figurazione?



Nasce attraverso un saccheggio visivo, usando lo spostamento in auto per ottenere immagini strappate alla realtà tramite l’apporto fotografico. E’ un flash back della memoria, in quanto recupero della memoria attraverso i luoghi vissuti.



Quale è il senso dell'interpretazione che date alla realtà?



E’ una realtà del quotidiano, apparentemente banale, in cui gli stessi luoghi sono intermittenze di una memoria non solo personale, ma collettiva. I paesaggi landscapes o le city by night interpretano una sospensione contemporanea in cui l’uomo è assente; i paesaggi urbani sono già antropizzati e ne testimoniano la persistenza esistenzialista.



E' importante l'uso della fotografia nelle vostre composizioni?



Certamente! Per noi è come una sorta di regia: utilizzando la fotografia otteniamo le sequenze della memoria, e i luoghi sono intermittenti e alterni come un ricordo o un rimpianto. Tematica molto proustiana! Una volta stampato in digitale il fotogramma, si riproduce lo scenario su tela nuda, ad olio, semplicemente copiando e alterando di poco il soggetto.



La figura femminile assume una posizione centrale nelle vostre opere. Cosa è per voi l'erotismo?



Un Notturno di Alfonso e Nicola Vaccari

L’erotismo sta nell’aria, è dappertutto. La donna comunque ne è l’icona per eccellenza, portatrice di un sogno di bellezza che è senza fine. Ogni donna ha il suo erotismo, in quanto detiene il potere della creazione e l’arte della seduzione, che può passare attraverso il corpo o l’abbigliamento. L’erotismo è strettamente legato alla bellezza e ad una sua convulsa forza, che la donna per antonomasia le rappresenta.



In questo momento della vostra vita artistica, sentite di appartenere ancora al movimento della Transavanguardia o abbracciate il "realismo statunitense" degli anni Venti- Quaranta? 



La Transavanguardia è stata la nostra partenza, ovvero lo sviluppo militante di un espressionismo esasperato in età giovanile. Esiste ancora in noi, ma la nostra pittura da molti anni è cambiata, in un rigoroso ritorno all’ordine. La Nuova Figurazione, quindi il realismo statunitense, è attualmente la nostra primaria linea di ricerca espressiva.



Qual è lo stato attuale dell'arte contemporanea?



L’arte contemporanea è collassata in un facilismo e sensazionalismo che lascia vuoti gravi nelle capacità tecniche. Vale a dire che pochi sanno realmente disegnare e dipingere, facendo passare per arte certe cialtronerie vergognose. Tuttavia vi sono artisti che usano materiali non pittorici, ma pochi di essi sanno operare con vera consapevolezza di estetica e contenuto. La colpa è anche dei galleristi che seguono come beoti certe mode, promuovendo l’inganno e l’equivoco dell’arte. Dovremmo recuperare un’eticità pragmatica del fare arte e guardare di più alla pittura per la pittura.


Giuseppe Arnesano

Biografia: Alfonso e Nicola Vaccari, artisti gemelli classe 1961, sono nati a Forlì dove vivono e lavorano. Si sono diplomati al liceo artistico di Ravenna e all’Accademia di Belle Arti di Bologna - corso di pittura; hanno esordito nell’85 con una mostra a cura di Achille Bonito Oliva a Bergamo, dal titolo DESIDERETUR, entrando a far parte della generazione successiva alla Transavanguardia italiana. La loro ricerca artistica negli anni è proseguita verso un ritorno all’ordine, nell’ambito del neorealismo, sino ad approdare nella Nuova Figurazione italiana. Hanno partecipato a numerose mostre collettive e personali a livello nazionale e internazionale, come artisti indipendenti; sono considerati fra i maggiori esponenti della pittura di paesaggio contemporanea.

mercoledì 10 novembre 2010

Ma dove va Saviano? di Paolo Persichetti

Pubblicato su "Liberazione"
10.11.10

Imbarazzante. Non troviamo altro modo per definire la prestazione fornita da Roberto Saviano lunedì sera a Vieni via con me, il programma ideato con Fabio Fazio su Rai3. Se nei suoi libri aveva già dimostrato di non essere un nuovo Umberto Eco, da lunedì sera sappiamo che non sarà nemmeno il nuovo Marco Paolini. A vederlo abbiamo provato nostalgia per le prediche di un qualunque Celentano, per le intemperanze di un qualsiasi Sgarbi. Persino Gianfranco Funari con il suo trash televisivo ci è mancato.
Al cospetto il senso di inadeguatezza dimostrato, i luoghi comuni sciorinati, l'uso sistematico di una memoria selettiva e arrangiata, la pochezza culturale messa in campo suscitavano disagio. Un senso di pena e quasi un moto di rimprovero per chi lo ha trascinato lì. Un monologo melenso di trenta minuti, senza contraddittorio, privo del senso del ritmo, di battute folgoranti, della potenza delle pause, ma accompagnato solo da uno smisurato e pretenzioso egocentrismo, sono stati davvero troppi. Forse un posto giusto per Saviano in televisione ci sarebbe pure, magari nel confessionale del Grande fratello o sotto il fresco di una bella palma nell’Isola dei famosi. Perché il livello è quello lì: un derivato speculare dell’era berlusconiana. La lunga serata televisiva era cominciata al mattino sulle pagine di Repubblica, dove Saviano annunciava che avrebbe raccontato il funzionamento della “macchina del fango”.
Ma il calco televisivo dell’articolo scritto da Giuseppe D’Avanzo a metà ottobre non è riuscito un granché. L’autore di Gomorra piangeva censura. Singolare lamentela per un personaggio che vende centinaia di migliaia di copie con la Mondadori, l’ammiraglia editoriale della famiglia Berlusconi, ha pubblicato l’ultimo libro per la prestigiosa Einaudi diventata una sottomarca sempre della Mondatori, scrive sul secondo quotidiano italiano emanazione di uno dei più potenti e aggressivi gruppi editoriali-finanziari (De Benedetti-Repubblica-Espresso), va in televisione a recitare monologhi nemmeno fosse il presidente della Repubblica, percepisce in cambio un compenso di alcune centinaia di migliaia di euro, cioè l’equivalente di oltre venti anni di salario di un impiegato o di un operaio e di almeno due esistenze di lavoro di un qualsiasi precario. Il vittimismo è proseguito per l’intera serata rivelando la grave mitomania del personaggio che ha utilizzato alcuni spezzoni televisivi del giudice Falcone per parlare, in realtà, di sé. Il transfert era evidente.
Saviano ha messo in scena la propria voglia di martirio, manifestazione preoccupante di quella sindrome che gli esperti chiamano di san Sebastiano. Non ha rinunciato poi ad inviare dei segnali politici molto chiari.
Per tutta la serata non ha mai citato la parola destra, ovviamente tirando bordate, senza mai nominarlo, contro Berlusconi.
Ha invece più volte richiamato le responsabilità della sinistra colpevole di aver lasciato solo Falcone, ucciso poi dalla mafia. In realtà a farlo furono soprattutto gli antesignani del giustizialismo odierno, quegli esponenti della Rete che sospinti dall’anticraxismo criticarono la sua scelta di collaborare col guardasigilli Martelli.
Insomma lunedì sera Saviano ha tirato la volata alla destra di san Giuliano, quelle di Fini. I suoi fans di sinistra è ora che se ne facciano una ragione.

domenica 7 novembre 2010

Nell'incessante dell'acqua

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 7 novembre 2010

Recita un proverbio: “Se di Novembre tuona, l’annata sarà buona”, ma questa volta i tuoni e le copiose piogge hanno messo in crisi il debole sistema della fogne bianche, annullando i buoni propositi del proverbio; il disastro idrogeologico poteva essere evitato?
In questa prima domenica del mese ripercorriamo le strade del Salento delle Serre attraverso l’entroterra ionico e raggiungiamo il territorio del Comune di Acquarica del Capo.
Acquarica del Capo, Masseria Gelsorizzo
La vicinanza geografica del suddetto paese all’estremo lembo meridionale del Capo di Leuca ha favorito la distinzione “nominale” fra la piccola frazione del Comune di Vernole ossia Acquarica di Lecce situata a pochi chilometri dal Capolugo di Provincia e l’omonimo Comune ubicato lungo il tracciato della s.s. Gallipoli- Santa Maria di Leuca.
Per conoscere le origini del borgo questa volta prendiamo spunto dall’ immago civica, che raffigura una fontanella dall’incessante zampillio d’acqua, poiché Acquarica deve il suo nome all’abbondanza d’acqua nel suo sottosuolo, condizione che favorisce una vigorosa crescita della pianta del giunco, lavorata anticamente con maestria ed abilità da locali artigiani intenti nell’elaborata produzione di sporte, cestini e fiscelle di giunco, chiamati volgarmente “Pileddu”.
Proprio la ricca presenza di questo “eterno elemento” ha garantito fin dalle epoche più remote (Neolitico,Paleolitico ed età del Bronzo), la presenza dell’uomo, provata dai ritrovamenti avvenuti nella Caverna della Madonna della Grotta.
Alcune fonti ritengono che le origini del centro storico siano riferibili al IV secolo d.C. quando in questo particolare territorio confluirono le prime popolazioni; altre ancora in maniera più convincente, ipotizzano che proprio nelle vicinanze del luogo in cui ora è presente Acquarica, in illo tempore era accertata la presenza di tre casolari Cardigliano, Ceciovizzo e Pompignano. Gli storici locali sono concordi nell’asserire che Acquarica (acqua ricca) venne fondata nel X secolo da coloro che riuscirono a scampare alle razzie piratesche avvenute nei tre casali limitrofi; in questo modo,gli abitanti rifugiandosi in quel territorio traboccante di buona acqua, decisero di ritornare alla vita e di rifondare, dopo la distruzione di Pompignano prima e la caduta di Ceciovizzo e Cardigliano poi, Acqurica de Lama, che secondo l’accezione latina significa “laguna- ristagno d’acqua”; attualmente il nome Lama caratterizza una contrada del paese.
Quel “ristagno d’acqua” si prosciugò a causa della formazione di una “vora”, oggigiorno questa voragine naturale assorbe numerose quantità di acqua provenienti sia dal centro abitato che dalle periferie. Successivamente nel 1669 il nome del centro divenne Acquarica Centellas perché derivante dal cognome del nobile feudatario, ma una volta terminato il dominio della famiglia, il paese ricevette il nome Acquarica con l’appendice “del Capo”.
Nel cuore del piccolo centro possiamo ammirare l’impianto quadrangolare del Castello medioevale, caratterizzato dalla presenza dell’ultimo torrione circolare; il mastio originario venne eretto durante il 1100 in piena epoca normanna e fatto ricostruire per volere di Giovanni Antonio Orsini principe di Taranto quando nel 1342 prese potere sul feudo di Acquarica; appena fuori del centro abitato ci dirigiamo lungo la via di Torre Mozza ed è su questo rettilineo che inizia a definirsi il profilo dell’alta e possente Torre di Celsorizzo, situata su quello che un tempo era il casale di Ceciovizzo. Il monumento difensivo si confronta con la stabile torre colombaia eretta dal feudatario Fabrizio Guarino nel 1550 per costituire un continuum con la tradizione falconiera cara a Federico II di Svevia; nelle vicinanze di questi due giganti di pietra sorge la chiesa in carparo della Madonna dei Panetti risalente all’XI secolo e caratterizzata da due absidi ed un frantoio ipogeo, il titulus della suddetta chiesa deriverebbe da un’antica tradizione ossia quella della distribuzione dei panetti ai poveri nelle vicinanze dell’edificio. Accanto alla chiesetta si trova la Cappella di S. Nicola un tempo interamente affrescata; grazie alla ricerca storico-artistica si è riuscito a stabilire la data di fondazione dell’edificio datato all’anno domini 1283. La decorazione parietale si divideva in due repertori dagli eleganti ed accesi colori, riferibili alla ieratica e bidimensionale visione della cultura bizantina. Questa sera si conclude la festa che celebra il quarto centenario della santificazione di San Carlo Borromeo patrono di Acquarica del Capo e protettore di vescovi e catechisti. L’introduzione della devozione al vescovo milanese si deve alla miracolosa guarigione del barone Guarino nell’anno 1610 il quale rinominò il titulus della chiesa di San Giovanni Battista in Chiesa di San Carlo Borromeo. La giornata di domenica prosegue tra le numerose e colorate bancarelle tradizionali affiancate dalla grande fiera mercato, insieme al mercatino di beneficenza a cura del Gruppo di Volontariato Vincenziano.

Giuseppe Arnesano

martedì 2 novembre 2010

Metafore Esistenziali: Esperimenti dell’Anima

Bollenti Spiriti 2010
III edizione
Metafore Esistenziali: Esperimenti dell’Anima

Si terrà dal 4 al 21 novembre la terza edizione di “FUORI BOLLENTI SPIRITI”, una rassegna creativa giovanile, fortemente voluta dall’Amministrazione Comunale di Leverano allo scopo di offrire uno ‘spazio’ ed un’opportunità ai giovani del territorio che esprimono la necessità di comunicare le proprie idee attraverso i diversi linguaggi espressivi di cui l’ARTE si serve.
Palcoscenico dell’iniziativa sarà ancora una volta il Centro storico di Leverano che, per l’occasione, verrà reso ancora più suggestivo grazie alla presenza di Mostre permanenti e di installazioni di diversi artisti, impreziosite da serate dedicate alle altre forme artistiche (teatro, letteratura, poesia, musica).
Le passate edizioni hanno portato alla luce un’inaspettata VITALITÀ ARTISTICA dei giovani presenti sul territorio che hanno dato vita, con i loro lavori e la loro passione, a suggestive mostre e ad installazioni originali.
“FUORI BOLLENTI SPIRITI” si avvarrà del lavoro di ideazione e di progettazione del FORUM DEI GIOVANI e dell’Associazione “ATLANTIDE – CITTÀ DEI SOGNI”, già protagonista delle edizioni precedenti.
Quest’anno la manifestazione avrà un titolo a fare da fil rouge alle diverse serate: “METAFORE ESISTENZIALI: ESPERIMENTI DELL’ANIMA”. Un filo conduttore che si propone di ricreare “uno spazio dove l’anima possa perdersi nei suoi esperimenti e ritrovarsi nella libertà di far immagini”, cercando di dar vita ad un luogo in cui l’ARTE, attraverso immagini, suoni e parole, manifesti la propria essenza per giungere all’obiettivo finale di esprimere un’idea, un pensiero, un SOGNO. L’arte, intesa come atto creativo, implica un’imprevedibilità che sfugge totalmente alle leg-gi deterministiche. Citando V. Kandinkij l’arte è “…un linguaggio che parla all’anima con parole proprie, di cose che per l’anima sono pane quotidiano…”. L’arte non comincia dove finisce la razionalità, ma la prolunga nell’indicibile per condurci là dove regna l’emozione: l’ANIMA.


Info e Contatti:
Palazzo Gorgoni
Via Sedile — LEVERANO
04—21 Novembre 2010
Tel.: 338/4898150
E-mail: fuoribollentispiriti@libero.it