sabato 16 aprile 2011

Intervista al Professore Alessandro Zuccari


Pubblicato sul Giornale di Lettere e Filosofia 

dell'Università La Sapienza

il 16/04/2011



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Intervista al Prof. Alessandro Zuccari

Prof. Zuccari, docente di storia dell’arte moderna della facoltà di Lettere della Sapienza, secondo Lei perché le lauree scientifiche sono considerate più impegnative e produttive di quelle umanistiche?
Prof. Alessandro Zuccari
Prof. Alessandro Zuccari
Non sono considerate più importanti ma possono favorire unaccesso al mondo del lavoro più immediato. Le facoltà scientifiche hanno più finanziamenti, al contrario di quelle umanistiche che hanno bisogno di meno strumentazioni e quindi di meno fondi per la ricerca, che impegna risorse differenti.
Lo sbocco all’insegnamento è molto limitato: questa è una delle prospettive per chi frequenta la facoltà di Lettere e Filosofia. È chiaro che si sono create nuove opportunità di lavoro nel mondo dell’arte e per quello che riguarda l’intero settore del turismo, che è molto articolato.
Esistono connivenze tra l’Università e le agenzie pubbliche e private del territorio che si occupano della valorizzazione e della promozione dei beni storico artistici ed archeologici?
Io vedo la cosa più complessa e meno definita; proprio in questo settore non è che ci siano degli accordi espliciti o impliciti, gli accordi sono solo a livello della formazione. Poi dipende dai momenti e dalle opportunità che si presentano e che non sono costantemente prevedibili; ad esempio ci sono studenti che appena laureati entrano in un’agenzia perché si è creata una possibilità. Io non vedo questo rapporto funzionale cosi stretto, però forse dal mio punto di vista evidentemente non sono questi i circuiti che contano.
Cosa vuol dire essere un giovane storico dell’arte oggi e quali sono le sue prospettive?
Vuol dire godere del patrimonio che esiste a Roma ed in Italia; secondo me, e ne ho avuto conferma, quei dati sulle percentuali dei beni artistici e storici in Italia sono pura invenzione. Non esiste un censimento mondiale delle opera d’arte e quindi non si può fare la percentuale; dire che in Italia c’è il 70% del patrimonio mondiale è un errore. L’opportunità straorinaria che abbiamo noi italiani  è di studiare tutto quello che rappresenta non solo il passato della creatività artistica italiana, ma anche delle confluenze, degli intrecci e scambi che ci sono stati. Oggi fare lo storico dell’arte non è facile, così come non lo è studiare e lavorare in tanti altri campi; chi però si dedica con intelligenza ed impegno ha molti campi di studio a disposizione, come quello della ricerca artistico – archivistica che non smette di rilevare sorprese e in cui c’è tanto da scoprire, studiare ed indagare. Gli sbocchi professionali certi non sono molti e quindi è chiaro che chi si laurea ha contratti a tempo, come guida turistica ecc. (che comunque sono piccole opportunità formative) nelle speranza che anche la situazione economica complessiva ed il mercato del lavoro escano dalla stretta attuale. Roma e Milano sono le due città che hanno meno risentito della crisi finanziaria ed economica che è succeduta. La disoccupazione giovanile a Roma è più bassa che in altre città d’Italia.
Cosa consiglierebbe ad un giovane aspirante storico dell’arte?
Di prendere i lavori che trova e di continuare a studiare: cerco di essere molto pragmatico. D’altra parte non è una situazione romana o italiana ma è una situazione mondiale. In Spagna il problema della disoccupazione è ancora più spaventosamente drammatico, per non parlare della Grecia. Con questo non voglio sminuire i problemi italiani, ma vanno inquadrati per non drammatizzare questo si.
Pregi e difetti degli studenti?
Gli studenti non sono una categoria generalizzabile. Non mi piace dire che gli studenti sono in un modo oppure in un altro. Sono totalmente contrario a delle valutazioni del mondo giovanile che sono state date di recente. Si tratta di persone e non di categorie e questa è la prima distinzione; trovo invece che il mondo degli studenti universitari attuali, con tutte le difficoltà e anche con tutti i limiti che ci sono è pieno di energia e desideroso di guardare al futuro; non vedo tutte queste letture del mondo giovanile che si sono accompagnate dalle famose contestazioni.
Dovendo fare un confronto tra le generazioni passate e quelle attuali?
Le differenze sono tante. E’cambiata anche la realtà attorno quindi sono cambiate le condizioni culturali ed il diritto allo studio si è esteso, non sempre offrendo le condizioni e le opportunità  necessarie; quindi la crescita del numero degli studenti universitari  che non è corrisposta poi ad altrettante offerte di lavoro. Tuttavia vedo molti che non solo si adattano alle difficoltà e penso soprattutto agli studenti della riforma 509: un vero percorso ad ostacoli! La riforma della riforma è stata indispensabile per sanare i danni che sono stati compiuti e purtroppo molto pensati. Per altro verso vedo che a paragone con il mondo giovanile di altri Paesi ed altri continenti forse si potrebbe essere un po’ più ambiziosi ed avere più passione e più speranza per il futuro. Questo offrirebbe un sguardo verso il futuro sicuramente meno negativo. Il paragone con il movimento che in Egitto ha portato alla messa in discussione di un regime dimostra un’energia straordinaria, imprevista da tutti i politologi e da tutti gli esperti del mondo arabo islamico; con un dato molto positivo perché si è trattato di una rivolta vissuta da tutte le generazioni ma che è partita dai giovani e che ha mostrato un intento di pace fortissimo ed indispensabile per il futuro; volontà di pace che ha contraddetto quel la semplificata e pregiudiziale valutazione sui paesi arabi di religione islamica che vedono in questi paesi soltanto i germi del fondamentalismo e del terrorismo.
Come giudica la riforma del Ministro Gelmini?
Giudicare a posteriori è come sfondare una porta aperta; la legge è stata approvata ed è un dato di fatto. La volontà di riforma aveva delle basi che giustificavano l’iniziativa, ma il vero problema della riforma Gelmini sono i tagli, le riduzioni, le contrazioni e gli accorpamenti. Sono il riflesso indiretto di una scelta complessiva di amministrazione dei beni pubblici e delle finanze corrispondente ad una scelta di ridimensionamento da parte del governo.
Cosa vuol dire insegnare storia dell’arte in una società come quella italiana che sembra si sia dimenticata di essere la prima del mondo, sotto questo aspetto?
Forse è quello che già viene fatto in questa Facoltà, che ha il vantaggio di essere la più antica dell’insegnamento di storia dell’arte. L’insegnamento universitario della storia dell’arte è nato qui. Alla fine dell’Ottocento Adolfo Venturi ebbe la cattedra e da allora ne è nata una scuola che non è l’unica, ma sicuramente quella storicamente più rilevante e che ha prodotto numerosi storici dell’arte di primissimo livello non solo italiano ma anche livello mondiale. La scuola romana prosegue con Lionello Venturi (figlio di Adolfo), Cesare Brandi, che è stato tra i fondatori dell’Istituto centrale per il restauro non solo perché creato le premesse teoriche del restauro moderno, ma anche perché ha messo in moto un sistema virtuoso che ha fatto scuola in Italia ed all’estero. Potrei parlare anche di Argàn ed anche di grandi medioevisti come Francovich oppure la Romanini, ma sarebbe troppo lungo l’elenco dei grandi che hanno studiato ed insegnato in questo dipartimento. Bisogna mantenere ed aggiornare il livello dell’insegnamento universitario. Per altro verso considero che “l’umanesimo italiano” sia una risorsa inesauribile e quindi si possa attingere da questa tradizione ricompresa nel contesto storico nel quale ci troviamo perché sia ancora linfa vitale.
Parliamo di uno degli artisti che ha affrontato in uno dei suoi moduli più seguiti dagli studenti: Caravaggio. Perché l’artista mantiene, dopo la sua morte, un rapporto così viscerale con la città di Roma?
Michelangelo Merisi da Caravaggio
Michelangelo Merisi da Caravaggio
L’artista ha avuto un rapporto fortissimo con Roma; aspirava a venire Roma perché la città era il luogo della società di elezione e fino alla fine ha cercato di farvi ritorno, ma è morto a Porto Ercole mentre stava per ottenere la grazia. Mi sembra interessante, invece, spiegare il perché dell’esistenza di un rapporto profondo tra Roma e ilCaravaggio, anche se la capitale non fu l’unica nel suo caso.
Il termine “viscerale” andrebbe aggiornato, poiché viscerale vuol dire emotivo e questo è legittimo perché ognuno può avvicinarsi a Caravaggio nel modo che vuole. Il rapporto viscerale esiste e  basta vedere i numeri straordinari della partecipazione alla mostra di Caravaggio: questo dimostra l’impatto con l’artista. Il Merisi è stato letto in maniera troppo viscerale con quelle distorsioni post-romantiche, cosa in parte corrispondente al vero, ma questo non vuol dire che era invece un delinquente ed un trasgressivo a tutti i costi. Basta valutare le sue opere pubbliche romane dove la poetica dell’artista con quella creatività geniale, che lo contraddistingue, si combina in modo molto originale con i contenuti religiosi e teologici da lui esercitati. Non era un personaggio contrapposto ideologicamente alle consuetudini religiose e sociali del suo tempo, ma era un personaggio colto e non un uomo che disprezzava i modelli del passato come Michelangelo e Raffaello. Un esempio magistrale è quello dalla cappella Contarelli, dove l’ispirazione proviene dalla creazione di Adamo della cappella Sistina. Caravaggio non contrastava le consuetudini sociali, non era un miscredente opposto alla Chiesa e si inserì invece in un modo molto originale. Come si spiega questa particolarità del Caravaggio, se non nel ricostruire la sua collocazione in ambienti particolari come quello dell’oratorio diSan Filippo Neri che rappresentava nel complesso quadro della Chiesa contro-riformata un circuito dove una realtà più moderna, finalizzando le sue iniziative a favore delle popolazione, non solo dei pellegrini e dei convalescenti dagli ospedali, promuoveva una cultura tra i vari ceti sociali della Roma del tempo per innalzare il livello culturale della città e dare accesso ai più ampi strati della popolazione? Qui troviamo la modernità di Filippo Neri e questa modernità si legge anche nelle opere del Caravaggio. Ammettere queste cose vuol dire smontare un’immagine del Caravaggio cristallizzata. Non si può negare quel ceppo che parte dalla Milano di San Carlo Borromeo e si lega molto bene a quella di San Filippo Neri.
Cosa ne pensa delle attribuzioni al Merisi che ogni tanto vengono fuori (penso al Martirio di San Lorenzo) per poi essere smentite? Non bisognerebbe essere un po’ più prudenti nel dare una paternità ad un opera fino ad un certo momento sconosciuta?
Il martirio di San Lorenzo, erroneamente attribuito a Caravaggio
Il martirio di San Lorenzo, erroneamente attribuito a Caravaggio
Questa è un po’ la smania che si è moltiplicata con il quarto centenario della morte di Caravaggio ed è stata definita la “Caravaggiomania”; ci sono degli eccessi con questo rapporto troppo viscerale e poco lucido e questa ha tra le sue conseguenze di attribuire ogni opera al maestro. Questo è quasi lo stesso problema che c’è stato alla morte del Caravaggio: tutti volevano possedere un suo quadro e finivano per comprare delle repliche oppure delle falsificazioni, illudendosi che si trattasse di un originale. Non escludo che si possano trovare nuovi “Caravaggio” ed è ancora possibile trovarli ma bisogna prendere molto le distanze da questo facile “attribuzionismo” che spesso si attesta anche su opere di scarsa qualità e nemmeno cronologicamente valide.
Sulla questione del San Lorenzo ci sarebbero stati una serie di equivoci perché la studiosa mi ha riferito di aver presentato cautamente un’ipotesi che poi giornalisticamente si è trasformata nello scoop dell’anno. In quel quadro non ci trovo nulla di caravaggesco se non un po’ di chiaroscuro, ma non è determinate per essere definito di Caravaggio o caravaggesco.
Questa facoltà ha avuto come docenti, storici dell’arte del calibro di Calvesi, Argan e Venturi tra gli altri. Visti i tagli sempre più invalidanti cui sono sottoposte le materie artistico – culturali, come pensa che si possa continuare a fare dell’Italia un paese di studiosi d’arte più competenti al mondo, come lo è sempre stato?
Lei ha richiamato i grandi nomi della “Scuola romana”; credo che dall’università di Roma possano continuare ad uscire grandi storici dell’arte. Debbo però dire che non usciranno moltissimi grandi storici dell’arte. Ci vuole molta ambizione a diventare grandi studiosi ed è chiaro che non potranno essere molti, anzi, c’è da dire che è una disciplina che meno delle altre richiede uno studio lungo e paziente ed anche minor impiego di mezzi. Calvesi diceva che se non si può avere un sostegno concreto dalla famiglia non si può fare questo mestiere. Oggi le cose sono un po’ cambiate: tempo fa il costo per le fotografie era molto elevato mentre oggi, con internet vi è una democratizzazione e si possono vedere degli ottimi dipinti a colori oppure studiare le riproduzioni. La ricerca bibliografica tutta è migliorata e facilitata e non bisogna sempre vedere il passato come un’ epoca felice ed il presente come un’ epoca di decadenza. Prima o poi dalla crisi usciremo. L’Italia non smette di avere un richiamo internazionale dal punto di vista turistico ed anche culturale. Forse saranno gli studenti ad aiutare l’Italia ed a mantenere un alto livello culturale, e non solo quello della ricerca delle soluzioni dal punto rivista economico.
Cosa pensa della fusione delle facoltà e dei dipartimenti? Come reputa la gestione attuale della Sapienza?
Ho affrontato, avendo per due mandati presieduto il corso di laura specialistica e poi magistrale, le cose con grande pragmatismo, cercando di salvare il salvabile o quanto meno di trarre un motivo di guardare al futuro. I nuovi dipartimenti ormai ci sono, spero che con questa formula più agile funzionino in maniera più efficiente. Il rimpianto è che non ci si incontra con i colleghi nel consiglio di facoltà e lavorando in cinquanta forse è più semplice che lavorare in molti di più. E fra due anni saremo il trenta percento in meno a caricarci di tutto questo. La riforma precedente a quella della Gelmini ha creato tutto questo, l’attuale riforma ha confermato un andamento precedente. Bisogna continuare a vedere i problemi, affrontarli e magari proporre soluzioni adeguate. La facoltà di Lettere a Roma ha guidato la protesta, siamo stati i primi ed è stata la facoltà pilota a Roma, quindi non è che non stavamo dalla parte degli studenti o dei ricercatori, però non dobbiamo nemmeno fasciarsi la testa  e dire che abbiamo perso.
Un ultima domanda su Caravaggio: da poco sono stati trovati dei documenti presso l’archivio di stato di Roma riguardanti la venuta a Roma di Caravaggio. Secondo questi documenti pare che l’artista lombardo venne a Roma per la prima volta nel 1596 anziché nel 1592. Questo mette in discussione gran parte delle certezze che la storiografia e la storia dell’arte han costruito con fatica negli ultimi decenni sulla vita di Caravaggio. Cosa ne pensa di questa recente scoperta?
Fanciullo con canestro di frutta
Fanciullo con canestro di frutta
La trovo molto interessante e non mi spaventa, tanto meno spaventa la generazione di studiosi che mi ha preceduto perché quando nel 1973 fu celebrato il quarto centenario della nascita, venne fuori che Caravaggio era nato nel 1571 e che quindi l’anniversario era sfalzato di due anni, mettendo in discussione tutto il “sistema celebrativo”. Questo è anche il bello degli studi! Ritengo che i nuovi documenti vadano attentamente studiati e contestualizzati. Questo indizio dell’arrivo del Caravaggio nel 1596 è molto importante ma non è ancora definitivo e dice quando sarebbe entrato il pittore nella bottega di un artista siciliano, un certo Lorenzo Siciliano (Lorenzo Carli), nella quaresima del 1596. Indubbiamente può essere arrivato un anno prima o due anni prima, non lo sappiamo e speriamo che vengano fuori altri indizi; certo è che dall’estate del 1592, quando è ancora in Lombardia, al Luglio del ‘97, perché il documento che parla del ‘96 è del luglio del 1597, vi è un buco di cinque anni. Dobbiamo rimboccarci le maniche e rivedere tutta la questione. E se dovesse essere confermata questa data cambierebbe tutto, perché dagli elementi che possediamo si tratta grosso modo di opere fatte a Roma e quelle della Galleria Borghese come il “Bacchino Malato” ed il “Fanciullo con canestro di frutta” dovrebbero essere delle opere fatte non appena arrivato a Roma e quindi nel 95 o 96? Credo che dire 1597 sia un po’ troppo in avanti perché in quell’anno il pittore è già dal cardinale Francesco Maria del Monte; posso dire che è verosimile che il Caravaggio sia arrivato nel ’95 a Roma, poi nel ’96 sia entrato nella bottega di Lorenzo Carli, dopo i primi mesi di difficoltà si è inserito e difatti nel 97 è a casa di Del Monte. Restringere la cronologia delle opere del Caravaggio a Roma prima del 1600 non è uno stravolgimento epocale.
Bacchino Malato
Valerio Chiocchio e Giuseppe Arnesano

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