sabato 29 gennaio 2011

IL REGGAE MILITANTE DI ROCKMAN



Dal 22 al 29 Gennaio scorso si è svolta a Bari la II edizione del Bif&st, Bari International Film & Tv Festival presieduta quest’anno da Ettore Scola e diretta da Felice Laudadio. Nella sezione documentari è stato proiettato fuori concorso il docufilm “ROCKMAN”


“Questa è la storia di una lotta senza confini, di una generazione ribelle, di un sound che esplode e coinvolge, di una vibrazione che infuoca gli animi e scava profonda nei corridoi della psiche, nei meandri della mente”, si legge così nella scheda di presentazione del docufilm Rockman, presentato in anteprima pochi giorni fa al Bari International Film & Tv Festival. Il film è prodotto da Davide Barletti (Fluid produzioni) e Tommaso Manfredi (Ritmo radicale), finanziato da Apulia Film Commission e diretto da Mattia Epifani regista e sceneggiatore leccese. Attraverso le puntuali interviste ai protagonisti del reggae pugliese dei primi anni ‘90, avvalorate da un nostalgico archivio audiovisivo, il regista ricompone le numerose tessere di quel prezioso mosaico che ha la massima espressione nella leggendaria figura di Piero Longo, ossia Militant P fondatore del “mondo” Sud Sound System e tra i responsabili della nascita del reggae in Italia. In occasione dell’anteprima abbiamo intervistato il regista.


Come nasce l’idea del progetto?
L’idea di realizzare il film nasce da Tommaso Manfredi e dal suo libro: Dai Caraibi al Salento, sulle origini del reggae in Puglia. Io da regista e sceneggiatore, ho strutturato il film in fase di scrittura e al montaggio con Mattia Soranzo. Per me il film parla di uno degli ultimi capitoli di un’era di lotte, della fine di un certo entusiasmo e della  generazione che ha dato vita all’ultimo antagonismo politico utilizzando un linguaggio artistico. In questo caso la musica: il reggae e il rap, attraverso la figura di Militant P, assumono significati storicamente di maggiore spessore.

Perchè il “soggetto” è incentrato sulla figura di Militant P?
Perché la sua vicenda personale rappresenta il profilo di un’intera epoca, non solo per l’influenza musicale sulla sua generazione, ma perché la sua vicenda racconta il passaggio, tra la fine di una certa mentalità antagonista, che prima esisteva e attualmente è da bandire e quella d’oggi, livellata ideologicamente, monotona. La sua storia è quella di chi vive a cavallo tra due mondi opposti, sentendosi straniero in entrambi e, nonostante tutto, continua, a suo modo, a fare resistenza finendo per esserne in parte schiacciato. Non si può separare l’artista dall’uomo, né dalla sua storia, perché è in parte proprio la sua storia a renderlo prigioniero: la sua vicenda può rispecchiare quella di un’intera generazione, di un’epoca e di molti che anche oggi vivono un sentimento di frustrazione nei confronti della società e delle possibilità di libertà individuali e collettive al suo interno.

In origine i Sud Sound System propagandavano “cultura, amore e radicazione”, secondo te quanto rimane ancora oggi di quel messaggio ribelle e genuino? 
Sicuramente a modo loro perseguono ancora questo scopo; hanno saputo promuovere bene le loro idee e hanno avuto un ruolo importante di sensibilizzazione rispetto ad alcune tematiche, offrendo a molti qualcosa in cui credere. Non solo nel loro genere, ma in molte altre espressioni artistiche oggi si è perso l’entusiasmo, una certa freschezza creativa, istintiva. Ci sono poche idee buone e poco coraggio per esprimerle, si accontenta più il pubblico, diventando così complici di un sistema di omologazione e appiattimento culturale che dovrebbe essere nemico di ogni artista e di ogni sottocultura.

Nonostante le naturali evoluzioni politico/culturali, esiste attualmente una band pugliese o salentina che possa recuperare ed infiammare quell’ideologia dialettale di fine anni settanta?
Sicuramente si, anche se mi sembra che più che nella musica o nell’arte in generale, che è diventata per forza di cose molto individualista anche nei contenuti, oggi ci siano altre tendenze che portano avanti l’idea di lotta nel senso di movimento collettivo, queste si trovano nelle strade e in luoghi dove si esprime l’antagonismo e il dissenso con lo scontro fisico, ma questa è un’altra storia.

Secondo te la carismatica figura di Militant P. è stata forzatamente dimenticata?
No, non credo, semplicemente perché,come dice Treble, il pubblico non ha avuto l’opportunità di conoscere veramente ed a pieno Piero artisticamente, poiché è uscito fuori dalle scene prima che ciò accadesse e per motivi di forza maggiore, non assolutamente causati dalla volontà di nessuno.

Qualcuno ha potuto sfruttare i vantaggi di questa emarginazione?
No, ma in generale il suo impegno ha posto le basi perché si sviluppasse un interesse verso questo genere musicale in Puglia e non solo. Questo film dimostra come tanti suoi amici e artisti della sua generazione, riconoscano il suo ruolo di pioniere e lo rispettino per il suo contributo essenziale, anzi fondamentale”.

Giuseppe Arnesano

lunedì 24 gennaio 2011

Le porte del tempo

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 23 genneio 2011


I luoghi del Salento/ Ugento

Questa domenica, dalla finestra di una “camera a Sud” che s’affaccia nel centro della caratteristica piazza S. Vincenzo, dominata dal prospetto neoclassico della settecentesca Cattedrale, cerchiamo di svelare gli affascinanti scorci urbani di un paesino situato nel profondo territorio meridionale della Provincia. A pochi chilometri dalla costa ionica e prominente su quell’estensione territoriale che comprende le frazioni di Gemini, Torre San Giovanni e le marine di Torre mozza e Lido Marini girovaghiamo nell’ondulato e didattico percorso storico-culturale del Comune di Ugento.Ignota è la provenienza dell’Ercole barbuto effigiato a simbolo della città nel gonfalone comunale e per questo motivo, le ipotesi degli storici locali sull’origine dell’antica fondazione sono incerte e da sempre contrastanti. Pesanti e monolitiche sono invece, le tracce che servono a collocare nel tempo l’evoluzione storica di Ugento;  ed in tal modo veniamo a conoscenza che, nei pressi di un sentiero immerso tra gli ordinati vigneti nelle vicinanze della strada per Taurisano, riposa la consistente e ben squadrata cinta muraria messapica costruita probabilmente intorno alla metà del IV secolo a.C. su circa 145 ettari. Sopravvissuta alle ostilità tra romani e cartaginesi nell’82 a.C., la città di Ugento fu elevata a Municipio Romano e da quel periodo in poi crebbero, lungo il limes territoriale, piccoli “agglomerati urbani” come Paternò, Geminiano (Gemini), Varano e Pompignano. Le drammatiche invasioni barbariche, iniziate nel corso della prima decade del IV secolo d.C. lasciarono  il posto ad un periodo più florido, vissuto durante la dominazione normanna dell’anno domine 1020; a testimonianza di ciò, ritorna ad Ugento il culto latino manifesto con la re-insediata sede Vescovile e successivamente, nel 1642 per volontà del conte Vaaz De Andrada si assiste alla ricostruzione del nuovo Castello cittadino impostato su linee architettonicamente tozze ed austere. Nel cuore del centro storico e tra la vivace periferia del paese si articolano, come suddetto, una serie di snodi storico-culturali importanti per ripercorrere e comprendere, quasi cronologicamente, quella lenta e variegata evoluzione storiografica del territorio. Tra le numerose porte del tempo, che ci riportano a diretto contatto con la storia, menzioniamo la tomba di Via Salentina, il quartiere artigianale romano e medioevale, le Necropoli,  la Cripta del Crocefisso, quella della Chiesa della Madonna di Costantinopoli, la Colombaia, il Tratto delle mura messapiche, le Domus urbane, il Castello ed i Musei di archeologia e paleontologia.In questo scritto raccontiamo che, nei pressi del romano asse viario Traiano-Sallentino (sentiero medioevale preferito dai pellegrini diretti al santuario di Leuca) dove sorge la Cripta del Crocefisso, è situata la piccola chiesa dedicata a S. Maria di Costantinopoli datata agli inizi del XVII. Attualmente la chiesetta, strutturalmente inglobata nella Masseria Crocefissi (XVIII secolo), presenta una pianta rettangolare a navata unica e coperta da una volta a botte. Nel suggestivo ambiente interno, completamente affrescato ed affollato dalle chiassose e numerose figure di Santi, si ode dal fondo centrale della parete, un sibilo di compostezza proveniente dalle labbra della Vergine di Costantinopoli seduta pesantemente in trono (1619); d’un colpo, quel sottile suono autoritario ammutolisce le divine voci. Il resto del programma pittorico, collocato al di sotto della Vergine, raffigura l’incendio di un edificio che, per intercessione della succitata titolare venne miracolosamente salvato. Prima di concludere ricordiamo che, i locali della vecchia Masseria Crocefissi, custodiscono un realistico calco di un giovane scheletro rinvenuto durante alcuni lavori. Lo scheletro di circa 23 secoli addietro, venne ritrovato sotto un cumulo di pietre rivolto a faccia in giù con il cranio fracassato e con numerose fratture multiple agli arti superiori ed inferiori;il macabro rinvenimento incuriosisce poiché quello sfortunato cadavere venne gettato senza alcun corredo funebre in un posto lontano dai consueti luoghi di sepoltura. 
Giuseppe Arnesano 

domenica 16 gennaio 2011

Nel riposo del Campo

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 16 gennaio 2011

I luoghi del Salento/Novoli


Nel giorno di “Antonio il grande santo l’Eremita” , questa domenica visitiamo il Comune di Novoli situato nel parco sociale del Negroamaro e facente parte, insieme con gli altri Comuni della zona settentrionale della provincia, della Valle
della Cupa. Nonostante le origini del toponimo siano poco attendibili, gli storici locali avanzano differenti ipotesi circa la derivazione semantica; una prima interpretazione richiama i termini latini Novulum, Novale (campo da arare, campo lasciato a riposo) pronunciati in gergo locale, mentre stando ai documenti ufficiali compariva il nome di Santa Maria de Novis. Un tempo, secondo le fonti dello storico locale Marciano, Santa Maria de Novis fu fondata dagli abitanti del confinante casale Porziano i quali lasciarono l’ostile terreno originario per insediarsi in quella che oggi è l’attuale Novoli. Prima di percorrere le vie del “bel paese” alla scoperta della Chiesa dedicata a Sant’Antonio Abate, dichiarato protettore della comunità dall’allora magnanime vescovo di Lecce Luigi Pappacoda nel 1664,ricordiamo che Novoli è devota a diverse sante figure, ed a testimonianza di questo sono numerose le chiese edificate a cavallo tra 500 e 600 alcune delle quali ristrutturate su precedenti costruzioni.
Tra queste citiamo il titulus della chiesa di Santa Maria Madre di Dio, oggi conosciuta come chiesa dell’Immacolata e ubicata nel cuore del centro storico in Vico Mazzotti; il sacro edificio è la testimonianza più antica del patrimonio architettonico locale, all’interno di questo sono custoditi due affreschi risalenti all’età bizantina, uno raffigurante la Madonna in trono col Bambino datato ai primi del XIV secolo, dell’altro invece se ne conserva solo un frammento ritraente un angelo con una figura femminile con aureola probabilmente attribuibile al XIII secolo; questo inizialmente intitolato Ospitalità di Abramo viene, a seguito di successivi studi, riconosciuto come frammento della raffigurazione della Madre del Risorto visto che nella chiesa veniva commemorata la festa della Mater Dei nella giornata di martedì di Pasqua, celebrazione che corrisponde con quella della Madre del Risorto del calendario liturgico bizantino.
Attraverso il lungo asse viario che da Campi Salentina conduce nel centro di Novoli, proseguiamo su via San Paolo, dove il santo “guerriero” cede il testimone a Sant’Antonio “del Fuoco” sull’omonima via; la struttura originaria della Chiesa di Sant’Antonio è antecedente al 1640 mentre l’edificio attualmente visibile risale tra il XVIII ed il XIX secolo. Il prospetto principale è caratterizzato da un anonimo stile neoclassico inquadrato da quattro paraste con capitelli dorici sulle quali è impostato un poderoso timpano al centro del quale figura un orologio degli anni trenta del novecento. Varcato il portale d’ingresso dai battenti bronzei, ammiriamo il classico schema a tre navate, ove nel fondo di quella di sinistra spicca la nicchia con la statua in cartapesta del Santo in onore del quale viene accesa un’alta “focara” dalle arcaiche origini probabilmente risalenti al XV secolo.

Giuseppe Arnesano

sabato 15 gennaio 2011

In un intimo Carillon

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 13 gennaio 2011

Musiche dal Salento/Intervista a Lucia Manca

Dopo il concerto dicembrino vissuto sul palco del Teatro di Novoli ed il debutto al Puglia Sound di Bari, Lucia Manca affiancata dalla sua equilibrata band composta da Michele Russo (chitarra), Mauro Ingrosso (basso) e Andrea Rizzo (batteria), continua a promuovere il suo primo singolo: Sogno Antico, brano estratto dal nuovo disco attualmente in lavorazione con la collaborazione artistica di Giuliano Dottori cantautore e chitarrista degli Amor Fou.
Sospese sono le dimensioni sonore che accolgono il sopraffino canto della giovane cantautrice Lucia Manca, sospese tra orecchiabili melodie intrise di avvolgenti e particolareggiati effetti e delicate aperture ritmiche. Come in un intimo carillon, dolce è la musica che si dipana una volta aperto il piccolo cofanetto; da esso affiorano, sostenuti da una vivace e malinconica scrittura, suggestioni musicali che inebriano in modo onirico l’animo sognatore dell’attento uditore.
Storie immaginarie costruite su pensieri/desideri si inseguono e mutano continuamente tra sogno antico ed individuale realtà, conducendo in maniera aggraziata un incantato Io a fantasticare tra i proprio ricordi.
Chiuso il cofanetto l’incanto svanisce.


In che modo e da quanto tempo ti sei approcciata alla musica?
La musica ha sempre fatto parte della mia vita, non c’è stata un’occasione particolare che mi ha spinto ad iniziare, ma sin da piccola è sempre stata una cosa naturale e spontanea, una necessità…mi sono affidata a lei, come fare un salto nel buio…mi sono abbandonata. Crescendo l’ho amata sempre di più soprattutto quando ho iniziato a scrivere. E’ bellissimo rendersi conto di come alcune melodie che ti vengono in testa ti suggeriscono tante immagini e da lì il susseguirsi di parole.

Quanto c’è di te e di quello che vivi nei tuoi testi?
Molte delle mie canzoni sono odi all’amore, malinconiche ma nello stesso tempo calde e gioiose, alcune parlano di me dei miei confusi desideri, di quello che amo, anche perché m’innamoro facilmente di ogni cosa e adoro osservare tutto. Molti dei miei testi hanno un tono fantastico e fabulatorio, scrivo quello che mi circonda, creo intorno a me una realtà tutta mia anche dando sfogo alla fantasia.

Quali sono i tuoi modelli musicali?
Sono cresciuta ascoltando i cantautori degli anni ’60, Tenco, Lauzi, Bindi, Ciampi, Endrigo…
sono molto legata anche ad artisti e bands più attuali come Beach House, Joanna Newsom, Fleet Foxes, Sufjan Stevens.

Quanta influenza hanno sulla tua musica?
Credo che sia i nomi citati sopra e sia altri abbiano contribuito in qualche modo a definire il mio profilo artistico. Difficile capire in che modo e in che quantità mi abbiano influenzato, finisce tutto in un grande pentolone da dove poi traggo automaticamente inspirazione.

Quali sono le tue letture?
Mi piace la poesia antica, soprattutto i sonetti di Shakespeare e Petrarca. La letteratura francese dell’800 le poesie di Alphonse De Lamartine, Alfred De Vicny e Charles Baudelaire. Leggo anche molti romanzi e le storie scritte per bambini.

Trai spunto da esse?
No o almeno non direttamente.

Ci sono luoghi particolari dove nascono i tuoi brani?
No, non ho dei luoghi particolari, spesso mi succede di avere delle idee in macchina da sola, oppure di scrivere in un punto qualsiasi della casa.

Pregi e difetti del tuo primo album?
Non ho ancora un “primo album”, 4 anni fa feci un piccolo demo con le mie prime 3 canzoni. Difficilmente lo riascolto a causa delle tante cose che ora sento molto lontane. Avevo 20 anni e le mie idee erano sicuramente meno chiare, ma nonostante questo, ricordo di non aver avuto delle cattive recensioni. Il mio primo album uscirà quest’anno con la produzione artistica di Giuliano Dottori.

In Sogno antico, Lontano e nel L’incanto emerge una condizione di sofferenza/abbandono, questa è riferita ad un amore finito oppure nasconde un significato recondito?

Sono spesso affascinata dalla tragicità dell’amore, Sogno antico e Incanto esprimono questa condizione anche se in due contesti differenti di un amore finito. Lontano invece rappresenta la mia percezione del passato che diventa sempre più sfocata col passare degli anni.

La figura del cigno rimanda sia alla mitologia greca sia alla natura alchemica del corpo androgino, nel testo L’incanto quale è l’accezione della figura del cigno bianco?

Si ho pensato a Zeus e Leda, in questo caso però la storia è diversa, il mio cigno è una donna che con l’inganno ha incantato un uomo tenendolo lontano dalla donna amata.

Cosa pensi del progetto Puglia Sound ?
Puglia Sounds è una bellissima realtà che forse aspettavamo da tanto. Credo che si voglia far avere alla musica un ruolo più importante anche dal punto di vista occupazionale. Un fonico, un manager, un musicista può dire di avere un “vero lavoro”; non solo l’operaio della grande industria o l’impiegato delle poste.

Ritieni che questo possa promuovere gli artisti pugliesi oppure si corra il rischio di polverizzare il finanziamento pubblico?

No, finora credo che Puglia Sounds abbia giovato alla visibilità e alla promozione di diversi artisti pugliesi, questo vuol dire alimentare anche la loro economia. Non vedo sprechi in tutto questo.

Se ci sono connivenze con formazioni politiche ed associazioni cultuali, è più facile per un artista emergere?

Si, sicuramente è più facile focalizzare il target a cui ci si rivolge, almeno con le associazioni culturali.

Pensi che il voler proporre a tutti i costi “musica di qualità per i cosiddetti palati fini” a volte non crei della musica “modaiola” ma priva di valore effettivo?

Si, in questi casi si percepisce facilmente anche la forzatura nel farlo con risultati troppo costruiti.

Secondo te, nel variegato panorama musicale salentino quali sono gli artisti validi?
La scena musicale Pugliese è molto varia ed interessante da diversi anni a questa parte. Credo ci sia un carattere abbastanza esotico. Personalmente gli artisti che stimo sono: Matilde Davoli e Populous (anche con Girl With The Gun), Giorgio Tuma , Tobia lamare & the Sellers e Ivan Davoli (Gianluca De Rubertis).

Che cosa è per te l’eleganza nella musica e nella vita?
La semplicità di mostrarsi così come si è.

Giuseppe Arnesano

domenica 9 gennaio 2011

“Vincent Van Gogh. Campagna senza tempo- Città moderna”


Vincent Van Gogh
Autoritratto
1887
Olio su tela, 42 x 30 cm
Amsterdam, Van Gogh Museu
“Che piacere vedere di nuovo la città-tanto quanto amo i contadini e la campagna”. “Quanto l’unione degli estremi mi fa venire nuove idee-estremi, la campagna nel suo insieme e il trambusto di qui. Ne avevo proprio bisogno”.
Questi versi, vergati da Vincent van Gogh in una lettera del 1886 indirizzata al fratello Theo,enfatizzano quell’intenso sentimento naturalistico che ha caratterizzato l’intero percorso artistico del maestro olandese.
Dall’8 ottobre scorso e fino al prossimo 6 febbraio 2011, le sale del Complesso del Vittoriano di Roma ospitano, dopo ventidue anni d’assenza, la mostra intitolata “Vincent Van Gogh. Campagna senza tempo- Città moderna”. Il progetto espositivo curato dall’emerita studiosa Cornelia Homburg, massima esperta dell’artista olandese, si avvale della collaborazione di un internazionale comitato scientifico.
In mostra sono presenti oltre settanta variegate opere tra dipinti ed acquerelli del maestro, in più, per arricchire maggiormente il contesto espositivo e mettere in risalto quella fitta rete di scambi artistico-culturali tra Van Gogh e gli artisti delle “avanguardie”parigine, gli organizzatori hanno esposto circa una quarantina di grandi capolavori appartenuti a Millet, Pissarro, Cézanne, Gauguin e Seurat provenienti dalle più grandi istituzioni museali del mondo e dalle più preziose collezioni private; ad esse si aggiunge un’ interessante raccolta di originali lettere redatte da Vincent Van Gogh e provenienti da numerose raccolte private.
Il percorso espositivo presenta un’interessante ed esplicativa visione dell’intero corpus del grande pittore; la mostra s’apre con una selezione delle prime opere del periodo olandese, nelle quali si comprende visivamente come Van Gogh si adoperò nello studio e nella riproduzione di numerose incisioni dei maestri del passato come Delacroix, Daubigny e Millet; da queste ed altre opere su tela, egli trasse quella monocromatica tinteggiatura scura caratterizzata dalle misere presenze di contadini immersi in drammatiche suggestioni sociali; in queste numerose e poetiche distese naturalistiche, piene di “casette dai tetti di paglia”(abbondanti soprattutto nella produzione di Saint-Rémy 1889-1890), l’artista rappresenta il concetto inalterabile della dura realtà rurale, come in un continuo dialogo atemporale con quelle tele raffiguranti il costante progresso della città moderna.
L’affascinante espressionismo materico di Van Gogh, concentrato su pochi centimetri di superficie pittorica e palesato sia nei ritratti che nei paesaggi, è generato da una originale interpretazione “di ciò che l’artista voleva che l’osservatore vedesse”; queste seducenti costruzioni figurative sono frutto, oltre che di quella consolidata e geniale concezione artistica, anche di quella grande cultura di raffinato pensatore; ad esempio in una lettera scritta al fratello Theò si evince che la tela raffigurante la Montagne a Saint-Rémy con casolare scuro, sia stata ispirata dalla lettura di un passo in un romanzo.
La serie delle teste di contadini in esposizione, eseguite tra il 1884 e l’anno seguente, sottolineano la volontà dell’artista di cogliere i tratti più caratteristici della fisionomia umana; questi studi sono la premessa del primo grande quadro con figure umane ritratte nella celebre tela I mangiatori di patate del 1885, esempio oggettivo della cruda vita contadina in cui la realtà non è idealizzata.
Le opere esposte nelle sale successive raccontano la svolta coloristica parigina avvenuta tra il 1886 e il 1888, periodo in cui lo studio del maestro olandese è contrassegnato dal rinnovamento e dalle sperimentazioni apportate sia dalle influenze degli Impressionisti come Pissarro e Cézzanne e sia da quelle dei post-Impressionisti suoi contemporanei come Gauguin e Seurat, tutti attivi nell’eccentrico quartiere di Montmartre; in questo periodo l’artista si “aggiorna” manifestando l’uso limpido del colore e della pennellata espressiva esaltata nei piccoli quadri dai minuti tratti di brillanti pigmenti; in altre opere egli volge il proprio interesse nei confronti del ritratto “moderno” descritto nella coppia di Autoritratti provenienti dal Van Gogh Musem di Amsterdam.
Parigi non era semplice da vivere, cosi nel 1888 il bizzarro Vincent abbandona per sempre la “febbrile”capitale francese per intraprendere un itinerante viaggio nella Francia meridionale alla scoperta della tanto ricercata tranquillità di provincia; l’artista visse gli ultimi soggiorni della sua vita tra la cittadina di Arles (1888-1889) e quella di Saint-Rémy (1889-1890) fino a quando, in preda al delirio, morì suicida nel paesino di Auvers-sur Oise nel Luglio 1890.
In quel periodo il pittore si lasciò ispirare dal paesaggio e dalla luce del sud, dipinse alberi da frutto e numerosi campi di grano, disegnò e raffigurò ciò che era il suo mondo, fatto di cipressi ed alberi d’olivo vibranti ed a volte sinuosi, costruiti in maniera rapida con vivaci pennellate simulanti l’idea del movimento. Allo stesso tempo combina in maniera equilibrata immagini tipiche della città moderna e della vita rurale dando prosecuzione a quel senso di continuum verso l’eternità.
Nel Seminatore dell’Hammer Museum di Los Angeles e nella reinterpretazione della tela di Daumier Le quattro età dell’uomo si comprende come la figura dell’uomo sia l’ago della bilancia tra il passato, rappresentato dalla campagna e dagli alberi in fiore sullo sfondo, ed il futuro tratteggiato nei fumi delle ciminiere.
La completa visione dell’itinerario espositivo, dedicato all’equilibrata e coloristica concezione pittorica del grande maestro olandese, dà maggiore respiro ed immedesimazione nei versi indirizzati al fratello Theo; chiaro ed esplicativo è il pensiero filosofico della mostra,in conclusione possiamo dire: «Ne avevamo proprio bisogno».

Giuseppe Arnesano

sabato 8 gennaio 2011

La bella "mendolina"

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 9 Gennaio 2011

Il tanto desiderato nuovo anno è arrivato; finalmente da questa domenica lo stress da eccesso vacanziero diminuisce gradualmente ed oltre ad alleggerire il carico di lavoro supportato dal nostro stato psico-fisico, cerchiamo il modo di allontanarci dalla frenetica quotidianità scivolando tra le località più seducenti del nostro territorio. Questo primo appuntamento dell’anno prende avvio da uno dei “borghi più belli d’Italia” ossia Specchia.

Veduta di Piazza del Popolo a Specchia
Il borgo di Specchia è immerso in una selva di ulivi racchiusi in una sconfinata cornice di muretti a secco alle pendici di quei rilievi denominati Serra Magnone e Serra Cianci; fin dal periodo normanno e successivamente in quello feudale, il piccolo borgo ha vantato una posizione geografica strategicamente ottimale, grazie sia alla sua lontananza dal mare che alla sopraelevata ubicazione collinare.
Entrando in paese notiamo che lo stemma civico, scolpito nella morbida pietra calcarea che funge da chiave di volta nel portale del Castello cittadino ubicato in piazza del popolo, rappresenta un mandorlo crescente su di un cumulo di pietre; ma se mettiamo temporaneamente da parte la “resistente immagine iconografica”, ci accorgiamo che l’intricato sottobosco delle congetture sul significato del nome è veramente impervio. Quasi unanime sono le osservazioni degli storici locali nel ritenere che, le “specole o specchie sono cumuli pietrosi di forma conica che servivano come primitivi avamposti difensivi d’avvistamento oppure come sepolcri di antichi eroi morti in battaglia”.
Altri studiosi dibattono quest’ultima ipotesi, poiché durante la rimozione di alcune di esse (Specchia di Santa Teresa e di Alpignano) non si sia trovata corrispondenza alcuna; altri ancora fanno risalire la costruzione delle specchie all’età del bronzo ed a quella neolitica; durante il Medioevo invece, il borgo è identificato nel nome latino di Specla de Amygdalis, modificato poi in Specchia Mendolina poiché nella zona vi erano numerosi alberi di mandorlo; questi sono legati alla mitica figura della matrona romana Lucrezia Amendolara la quale, secondo la tradizione, edificò ed ampliò il primo nucleo dell’antico casale; mentre in alcuni documenti settecenteschi, Specchia viene identificata come “Specla Presbiterorum”.
Lo storico Antonio Penna racconta il piacevole centro cittadino attraverso: “i semplici e composti portali catalani o barocchi, le cornici di pietra leccese, le iscrizioni in italiano o latino, i beccatelli dei balconi proiettati sulle strade, le logge panciute in ferro battuto, gli archetti pensili, che ancora adornano le facciate di case un tempo signorili, i fregi, le statue, le colonne, le edicole votive con immagini sacre sbiadite dal tempo”; ma allo stesso tempo, il borgo presenta sia un carattere sacro, evidenziato dalla presenza delle numerose chiese mariane, dalle cappelle dedicate a san Nicola patrono del paese e dalla moderata edificazione di quelle di rito greco; che da un carattere moderno ed all’avanguardia nel campo del turismo, messo in risalto dal confortevole Albergo Diffuso dislocato tra le deliziose ed incantate case a corte del centro storico. Nel cuore del circolare perimetro del borgo antico, fa bella mostra di sè il cinquecentesco Castello Protonobilissimo Risolo connotato da un imponente portale bugnato, invece situata in una posizione opposta al Castello si trova la seicentesca Chiesa Matrice ed affiancata ad essa, spicca il “contemporaneo” campanile edificato nel 1945 in sostituzione della cinquecentesca torre campanaria.
Chiesa di Sant'Eufemia
Prima di concludere questa domenica in gita, percorriamo circa un chilometro allontanandoci dal centro storico ed in direzione dell’antico casale Grassi ammiriamo un altro piccolo tesoro architettonico dell’arte bizantina in Salento. La Chiesa di Sant’Eufemia, dopo oltre due secoli di abbandono, affascina ed incanta dopo i dovuti restauri terminati nel 1981. Il sacro edificio, edificato secondo i canoni della tradizione bizantina, è orientato ad est ossia in direzione del sorgere del sole (simbolo cristologico), in onore di quelle tradizioni giudaiche osservanti la preghiera con il viso rivolto ad Oriente.
Dopo la legittimazione per il culto delle immagini sacre, approvata durante il Sinodo Romano di papa Gregorio III e la successiva vittoria dell’esercito del francese Carlo il Calvo contro i Mori presso l’antica Veretum (Patù); tra l’875 e l’877 è datata la probabile costruzione della chiesa di Sant’Eufemia che, contrariamente alle numerose cripte bizantine edificate nel sottosuolo per evitare le persecuzione iconoclaste, domina incontrastata l’aperta campagna.

Giuseppe Arnesano
Giuseppe Arnesano

venerdì 7 gennaio 2011

Chagall. Il mondo sottosopra

Il testo sottostante è tratto dal sito della mostra
Per maggio info: www.arapacis.it
22 Dicembre 2010 - 27 Marzo 2011
Chagall. Il mondo sottosopra
Tipologia: Documentaria
La mostra intende illustrare, attraverso una selezione di circa 140 opere tra dipinti e disegni realizzati tra il 1917 e il 1982, provenienti da prestigiose collezioni pubbliche e private, la sua straordinaria e personalissima rappresentazione del mondo, un mondo ”sottosopra”, in cui Chagall mette in atto un capovolgimento dell’ordinamento classico, sfidando nelle sue opere le leggi di gravità e creando una forte affinità con l’universo pittorico proposto dai Surrealisti.
«Un uomo che cammina ha bisogno di rispecchiarsi in un suo simile al contrario per sottolineare il suo movimento» così come «un vaso in verticale non esiste, è necessario che cada per provare la sua stabilità». È questo il mondo “sottosopra” immaginato da Marc Chagall (1887 - 1985), raccontato in una eccezionale esposizione a venticinque anni dalla sua morte.
Il mondo sottosopra” arriva al Museo dell’Ara Pacis. In mostra 140 opere tra dipinti e disegni, alcuni dei quali inediti, proveneienti da collezioni private, dal Musée National D'art Moderne Centre Georges Pompidou e dal Musée national Marc Chagall di Nizza.
Sono molti gli approcci possibili all'opera di Chagall: la relazione con i movimenti d'avanguardia a cui si è accostato nel corso della sua vita, ma da cui si è poi sempre distinto per originalità; i temi legati alle sue origini russe ed ebraiche e i suoi contenuti spirituali; la sua capacità di servirsi di tecniche miste per superare le frontiere fra pittura e grafica.
Questa mostra ha scelto di indagare le affinità che l’artista condivise con i Surrealisti - anche loro seguaci della “rivoluzione” e del sovvertimento dei valori stabiliti - e il forte legame con la sua identità religiosa.
Osservando le opere di Chagall si può cogliere la peculiarità che contraddistingue l’universo dell’artista: i personaggi, gli animali, gli oggetti che popolano paesaggi complessi spesso sfidano la legge di gravità. Il mondo che Chagall raffigura è, nel vero senso del termine, un mondo “sottosopra” in cui «il tempo non ha sponde», per riprendere il titolo di un quadro degli anni Trenta, nel quale fidanzati, sposi, rabbini, musicisti, orologi a pendolo, carretti, asini, galli e il pittore stesso - che si è ritratto tante volte nelle sue tele - si abbandonano ad audaci acrobazie come i circensi, altro soggetto che l’artista raffigura tanto volentieri.
Questo mondo capovolto è senza dubbio il frutto di una visione che si è formata attorno a molteplici assi. Uno di questi è la religione ebraica, con i suoi racconti fondatori in cui il caos iniziale, l’esodo delle folle erranti e altri celebri episodi sembrano anticipare gli sconvolgimenti della storia recente, i suoi esili e le sue diaspore. La rivoluzione d’Ottobre alla quale Chagall prese parte è il secondo. Le immagini che l’artista crea restituiscono ai termini “rivoluzione” e “capovolgimento” la loro piena accezione fisica. I fattori culturali e artistici sono una terza fonte. L’opera di Chagall si colloca facilmente tra le tradizionali stampe popolari russe (lubki) e le immagini derivanti dal Surrealismo, dimostrando così di aver tanto ricevuto quanto innovato.
Osservare le opere di Chagall ci porta ad individuare le peculiarità che contraddistinguono l’universo raffigurato. Ogni singolo quadro, popolato da personaggi di un’altra epoca che abitano improbabili spazi, da animali trasfigurati di cui è difficile individuare la specie, dominato da architetture raccolte che ospitano scene quotidiane raffiguranti altrettanti spettacoli magici, permette di contemplare un mondo in cui il capovolgimento dell’ordine costituito può derivare tanto da catastrofi e tragici sconvolgimenti quanto dal fascino e dal piacere.
Ogni singola tela di Chagall contiene episodi nei quali gli esseri umani, gli animali e perfino gli oggetti sono stati spostati, mossi, collocati in un luogo “altro”. La loro immagine si è liberata da ogni tipo di realtà contingente e da ogni punto di ormeggio, così da risultare più facile per lo spettatore lasciarsi trasportare in un mondo“sottosopra”.
Curatore/i
Maurice Fréchuret Direttore dei musei nazionali del XX secolo delle Alpi-Marittime e Elisabeth Pacoud-Rème Responsabile delle collezioni al Musée National Marc Chagall
Catalogo
Silvana Editoriale

info

Orario
Da martedì a domenica ore 9 - 19 - ingresso consentito fino alle ore 18 - la biglietteria chiude un’ora prima
Il 24 e il 31 dicembre 9.00-14.00 (ingresso fino alle 13.00)
Chiuso il lunedì, 25 dicembre, 1 gennaio
Biglietto d'ingresso
€ 11.00 intero - € 9.00 ridotto
per i cittadini residenti nel Comune di Roma (mediante esibizione di valido documento che attesti la residenza)€ 10.00 intero - € 8.00 ridotto
Il biglietto è acquistabile anche con carta di credito e bancomat
Ingresso ridotto con il biglietto del parcheggio di Villa Borghese
La biglietteria chiude un’ora prima
Il biglietto d'ingresso al museo in orario ordinario (09:00-19:00) non comprende e non consente l'ingresso straordinario serale per l'evento I colori dell'Ara Pacis per il quale bisogna munirsi di nuovo biglietto
Informazioni
060608 (tutti i giorni dalle 9.00 alle 21.00)
Altre informazioni
Enti proponenti e cura della mostra: Roma Capitale Assessorato alle Politiche Culturali e della Comunicazione-Sovraintendenza ai Beni Culturali, République Française, Musée national Marc Chagall di Nizza, Zètema Progetto Cultura
Sponsor Sistema Musei Civici: Banche Tesoriere del Comune di Roma (BNL– Gruppo BNP Paribas, Unicredit Banca di Roma, Monte dei Paschi di Siena),Gioco del Lotto Lottomatica, Atac, Vodafone
Organizzazione
Supporto organizzazione e servizi museali: Zètema Progetto Cultura
Con la collaborazione di
Servizi di Vigilanza: Travis
Con il contributo tecnico di
La Repubblica, Dimensione Suono Due