venerdì 24 dicembre 2010

Felice Natale a tutti!



Van Honthorst, detto Gherardo Delle Notti (1590-1656), Adorazione del Bambino (1620) – Galleria degli Uffizi, Firenze

mercoledì 22 dicembre 2010

Con Sigismondo

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 22 dicembre 2010

Alle spalle della natalizia piazza sant’Oronzo, un tempo conosciuta come “piazza dei mercantoni” e pittoricamente ritratta in una romantica incisione del secondo decennio preunitario, è ubicata la piazzetta Sigismondo Castromediano.
Prima di giungere in piazzetta, ammiriamo lungo via Rubichi l’elegante Palazzo Carafa. Edificato sull’area dell’cinquecentesco monastero delle Paolotte e della chiesa dell’Annunziata per volere dell’allora vescovo Sozy-Carafa, l’edificio venne ultimato tra il 1764 ed il 1771 dall’architetto Emanuele Manieri e dal capomastro Oronzo Carrozzo secondo i raffinati linguaggi stilistici del periodo; la facciata principale è caratterizzata dal bel portale-balcone centrale disegnato dal leccese Ghezzi.
Proseguendo oltre sbuchiamo sull’ambigua, urbanisticamente parlando piazzetta Castromediano, affiancata qualche metro più infondo dalla Chiesa del Gesù edificata questa intorno al 1575 per ospitare i numerosi chierici dell’omonima Compagnia istituita negli anni trenta del cinquecento da Ignazio di Loyola. Il prospetto della Chiesa leccese semplice e sobrio, riprende i “dettami” architettonici della romana Chiesa del Gesù rielaborata progettisticamente dal Buonarroti prima e dal Vignola poi e conclusa sotto la direzione di Giacomo della Porta; la monumentale costruzione è considerata la “Madre” di tutte le chiese dell’ordine.
Al centro della piazza su di un elevato pilastro, sorge la statua bronzea del patriota cavallinese Sigismondo Castromediano il quale, prima di essere accusato di cospirazione contro il governo Borbonico, aderì agli ideali della Giovane Italia di Giuseppe Mazzini. Dall’alta posizione egli sorveglia silenziosamente preziose testimonianze archeologiche. Qualche anno fa durante i lavori di rifacimento del basolato stradale della piazzetta, sono riemersi importanti scavi archeologici; l’intera operazione di recupero e valorizzazione degli antichi resti, diretta dal Professore Francesco D’Andria e dall’equipe dell’Università del Salento, è stata ideata al fine di rivalutare le tre fasi archeologiche caratterizzate dalla presenza di cisterne olearie.
Gli scavi hanno riportato alla luce “tracce” stratigrafiche riconducibili a differenti periodi storici dall’Età del Ferro (I secolo a.C.) all’ Età messapica (IV-V secolo a.C.) sino al XIX secolo; questi reperti testimoniano l’importanza del Salento a partire dal I Secolo a.C. nella produzione ed esportazione dell’olio nel bacino del Mediterraneo.
L’esempio più arcaico è rappresentato dal lacus olearius di epoca romana databile al I secolo a.C. ed appartenente ad un complesso di un “trappeto”; successivamente nel sito troviamo un deposito oleario risalente all’età aragonese (XVI secolo d.C.) ed infine un ultimo deposito del XVII. Tramite la collocazione di apposite “vetrine-osservatorio” è possibile “sbirciare” in questi storici ipogei tuttavia, nonostante le enormi finestre abbiano una ventilazione naturale, spesso la formazione di condensa ed il riflesso delle luci non permettono al curioso fruitore una nitida visione degli ambienti sotterranei.

Giuseppe Arnesano

domenica 12 dicembre 2010

Nella Lupiae pagana

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 12 dicembre 2010


Lecce/ Porta San Biagio ed il Teatro Romano

da Flickr di Carlo Trqmgd
In questa seconda domenica cittadina percorriamo viale Francesco Lo Re dove, all’altezza con Piazza d’Italia si addorme il monumento dedicato ai caduti in guerra. Esso fronteggia Porta San Biagio ultima porta meridionale dell’antica cinta muraria. Porta San Biagio venne edificata intorno alla prima metà del XVI secolo poichè rientrava nel programma di riordino delle strutture difensive, ma dopo la demolizione della costruzione originaria, il grande arco venne ricostruito nel 1774 per volere dell’allora governatore di Terra d’Otranto Tommaso Ruffo.
L’edificio “difensivo”, incastonato tra gli storici palazzi residenziali, ci accoglie con un solo e monumentale fornice (apertura ad arco) affiancato da due coppie di robuste colonne doriche impostate su massicci plinti; la “greca” trabeazione, orizzontale elemento architettonico sostenuto da colonne e pilastri, è classificata secondo lo stile dorico e presenta lungo il fregio la classica scansione di triglifi e metope; la trabeazione, sormontata da un decorato ed intagliato fastigio, culmina con la statua del santo protettore.
Al di là della porta si prolunga via dei Perroni sulla quale risiede sin dal 1667 la volumetrica chiesa di San Matteo, caratterizzata da un’armoniosa facciata convessa in basso e da una concava in alto; proseguendo ci addentriamo nella chiassosa, almeno per quanto riguarda la movida notturna, via Ferdinando I d’Aragona (comunemente conosciuta come “la via dei pubs”) dove s’affaccia l’elegante ed architettonicamente incompiuta Chiesa di Santa Chiara. Imboccando la via che fiancheggia il lato destro della chiesa, ossia via degli Ammirati, incontriamo dopo qualche metro, la graziosa Piazzetta Raimondello Orsini al centro della quale riposa il minuto monumento scultoreo al più popolare condottiero “dei tredici di Barletta” tale Fanfulla da Lodi. Il bronzeo incappucciato uomo d’arme ci indica la stradina che conduce al defilato Teatro Romano.
Lo scenografico luogo della rappresentazione di tragedie e commedie nella Lupiae romana, venne costruito probabilmente nel I secolo a.C.; il complesso è stato “intagliato” nella viva massa calcarea e da essa si è ricavato il sistema a gradoni della cavea (area destinata al pubblico). La struttura rocciosa, costruita con il suddetto intervento utile nel contenere le spese dei materiali, venne casualmente scoperta nel 1929 durante alcuni lavori presso il cinquecentesco palazzo Romano e il palazzo D’Arpe. Il teatro poteva contenere almeno seimila persone; la cavea misura oltre 75 metri, attualmente si conservano soltanto 12 file dei gradini, l’orchestra vale a dire la parte davanti alla scena riservata alle danze è integralmente conservata e misura oltre 13 metri; la scena è andata perduta a causa dell’attiguo convento di Santa Chiara. Parte della ricca decorazione marmorea che abbelliva la scena teatro è conservata nelle sale del Museo “Sigismondo Castromediano”.
Gli edifici seicenteschi, che fungono da architettonica scenografia posta alle spalle della cavea, ospitano attualmente la sede del Museo del teatro romano. Su questo sacro luogo “pagano” svetta l’alto campanile del duomo, un’immagine che potrebbe rimandare ad un’arcaica inquietudine di controllo e pregiudizio da parte della più potente religione di stato nei confronti della laica cultura.

Giuseppe Arnesano

domenica 5 dicembre 2010

Sushi...greco

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 5 dicembre 2010

Prospetto della Chiesa Greca
Potrebbe far freddo, anzi dovrebbe...,rimaniamo a Lecce, per la nostra consueta “gita” domenicale...L’ingresso nel centro storico di Lecce è “trionfale” poiché siamo di fronte a quel monumentale “Arco di trionfo” eretto in onore dell’imperatore Carlo V; prospiciente ad esso s’ammira l’Obelisco borbonico innalzato intorno agli anni venti dell’ottocento. L’antica porta San Giusto, nota attualmente come Porta Napoli, è costruita sul luogo dove sorgeva la suddetta entrata cittadina. Il prospetto principale di Porta Napoli è orientato a nord-ovest, ossia lungo la strada che conduce alla città sul Golfo. L’imponente costruzione, edificata nel 1548 dall’architetto Giangicacomo dell’Acaya, è collocata in una zona isolata dal centro; alta circa ventuno metri, il grande accesso è costituito da una coppia di robuste colonne terminanti con capitelli compositi e sostenenti il triangolare timpano effigiante l’arme dell’Impero austro-spagnolo sorretto dall’aquila bicipite.
Dal gigantesco arco si scorge il rettilineo asse viario di via Principi di Savoia, proseguendo, notiamo la sobria facciata neoclassica del Teatro Paisiello e qualche metro più avanti ci affacciamo su piazza Giorgio Bavigli luogo sul quale è teatralmente concepita la piramidale Chiesa delle Alcantarine.
Arrivati allo svincolo con via Umberto I, che conduce alla scenografica Basilica di Santa Croce, cerchiamo di evitare il richiamo festoso dell’eccentrico “animo barocco” modellato ed imprigionato in forme e volumi, telanomi ed astanti prima di giungere da personaggi ed altri santi.
Gelosamente custodita tra gli edifici di color giallo paglierino, la chiesa di San Nicolò dei Greci meglio conosciuta come Chiesa Greca domina solitaria la piccola piazza antistante. L’edificio fu costruito ex-novo con linee architettoniche semplici nel 1765 da un progetto multiplo degli architetti leccesi Francesco Palma, Lazzaro Marsione, Lombardo e Vincenzo Carrozzo. L’essenziale facciata è suddivisa in due ordini da un’aggettante cornice marcapiano e da quattro paraste doriche che scandiscono verticalmente il prospetto. L’interno a navata unica rettangolare ha una copertura a volta; l’iconostasi, ossia il tramezzo in legno (o in muratura) decorato da preziose icone, divideva e divide lo spazio dedicato ai fedeli dal presbiterio (spazio riservato al clero).
Il prezioso elemento architettonico è caratterizzato da tre porte, una centrale e due laterali in quella mediana è raffigurata l’immagine del “Noli me tangere” mentre gli sportelli laterali custodiscono gli arcangeli Michele e Gabriele. Le quattro sezioni del sacro muro sono scandite da otto semi colonne che supportano quattro tavole a fondo oro nelle quali sono presenti le icone della Vergine col Bambino, del Cristo sommo sacerdote, di San Giovanni Battista e San Nicola di Myra. La parte terminale dell’iconostasi è corredata da una composita teoria policroma delle Storie della vita di Cristo e dei ritratti degli Apostoli, sopra di essa il minuto trittico della Deesis (ossia l’immagine archetipica del Cristo benedicente affiancato dalla Madonna e S.Giovanni Battista) chiude il registro iconografico ortodosso; alle spalle dell’iconostasi si trova l’altare. Attualmente nell’edifico si riunisce la comunità di rito greco-bizantino.
A pochi passi da questo piccolo scrigno liturgico nel cuore del centro storico si trova lo ShuiBar il noto ritrovo della night life leccese; un luogo ideale con un’atmosfera raccolta dove si può associare ed assaporare il gusto della tradizione culinaria salentina alle deliziose e saporite pietanze orientali del sushi. Stasera il consueto appuntamento domenicale con le jam session ed il grande jazz.

Giuseppe Arnesano

mercoledì 1 dicembre 2010

Flashback

Pubblicato su CoolClub
(dicembre-gennaio 2010)

Le sale della 37Art Gallery di Lecce ospitano fino al prossimo 5 Dicembre l’esposizione personale di Sergio Lombardino intitolata: “Flashback”. Affermava Warhol: “La Pop Art è un modo di amare le cose”. Le opere esposte dall’artista romano sono caratterizzate da stilemi che abbracciano la “mitica Pop Art statunitense”, non tanto per quel che riguarda la sua peculiare tecnica pittorica, intrisa di retaggi afferenti all’arte del restauro appresa dalla sapiente maestria antiquaria-artigianale del padre, ma quanto per quella eclettica e frizzante rielaborazione dei grandi temi dell’immaginario contemporaneo: la tecnologia, la macchina, la merce,la fotografia, il fumetto ed il paesaggio urbano. Attraverso un disegno vibrante e particolareggiato, Lombardino offre al fruitore una personale visione del suo modo di intendere quell’arte “tanto cara alla cultura popolare di massa”, palesata sia nell’istantanea prospettiva di un’eccentrica e piovosa Times Sqauere, sia nel fermo immagine cenerino di un’imponente locomotiva d’altri tempi. Le sue opere possono essere intese, a mio avviso, come affascinanti “frammenti di vita” e, inquadrati dettagliatamente, accentuano quegli accattivanti scorci autobiografici vissuti nelle velature noir della sua Roma; nonostante la stesura di quel monocromo al grigio fumo che “sporca” la superficie pittorica, l’immagine assume un sentimentale effetto di un’antiquata pellicola cinematografica, a tratti nostalgica ed allo stesso tempo iconograficamente aggiornata; egli elabora il colore fino a farlo “invecchiare” articolando la struttura compositiva del soggetto per mezzo di una serie di numerose modulazioni. Durante il processo creativo, l’artista adopera sia olii che smalti, impiegati il più delle volte tramite la tecnica dell’Action Painting, assieme alla commistione di particolari effetti sul fondo della tela ottenuti con l’utilizzo di vecchi fogli di giornali; il dripping, ossia lo “sgocciolamento”, sigla la conclusione del “processo” artistico di Lombarino. Nell’aforisma di Warhol si può leggere il senso dell’espressione pittorica dell’artista capitolino, catalizzata nel solco dell’azione del “significante”, ovvero della “forma”, sia essa una Fiat 500, Topolino o Che Guevara che, rinvia ad un intimo contenuto/emozione che ognuno di noi ha vissuto e riversato in essa. Le seducenti “cose” raffigurate da Lombardino sono meravigliose immagini contenutistiche poiché, nonostante siano create dall’amore e dalla passione dell’artista, hanno la forza di esprimere un comune sentimento condiviso e compreso dall’intera società.

Giuseppe Arnesano