venerdì 28 giugno 2013

Visioni Orientali Trapiantate nel Salento

Chicho Aoschima (Tokio, 1974) Apricot 3- A pink dream
2008, Litografia 74x68
Da qualche settimana due buffi personaggi si aggirano per il Salento;  KaiKai e Kiki vengono dal lontano Giappone e sono pronti a raccontarci il loro mondo.  Le sale dell’Urban Center di Martano ospitano, fino al prossimo 29 settembre 2013Japan now!, collettiva di arte giapponese contemporanea. La mostra, precisa la curatrice Antonella Montinaro: «nasce dall’idea di presentare le tendenze contemporanee giapponesi e inserirle nel contesto delle principali correnti neopop contemporanee, oltre che nelle maggiori tendenze del mercato dell’arte». In esposizione sono presenti quasi una cinquantina di serigrafie ed un’inedita collezione di sculture in miniatura, le opere, realizzate dalle maggiori personalità dell’arte nipponica come Takashi Murakami,Yoshimoto NaraAya Takano, Chiho Aoshima, Mr, Chinastu Ban, Mahomi Kunikata ed Akane Koid, provengono da raccolte private internazionali. La mostra è un piccolo viaggio didattico nell’immaginario artistico di quelle tendenze neopop che gravitano intorno allo stile del Superflat/Superpiatto teorizzato da Murakami e che assurge al geometricamente “piatto” per ricordare, attraverso il rimando alla pittura tradizionale ed al mondo dei fumetti, l’assenza di “profondità emotiva della società contemporanea giapponese”, nettamente in contrasto con l’idea prospettica occidentale. Un pezzo di cultura artistica giapponese trapiantata nella penisola salentina, dove in una panoramica visione onirica, ibridi personaggi carichi di paure sociali e culturali fluttuano, vivono e si mescolano generando così un visionario equilibrio iconico nippo- americano.
Mostra visitata il 22/06/2013
A colloquio con la curatrice Antonella Montinaro

Raccontaci come nasce l’idea di Japan Now nel Salento.
La mostra Japan Now, è  la prima volta che si presenta in questo formato, si tratta dell’unione di due mostre che ho curato in Spagna negli ultimi 2-3 anni:  “Superflat. New pop culture” dedicata all’artista Takashi Murakami e presentata in una decina di città spagnole tra cui Madrid, Murcia, Valencia, Córdoba o San Sebastian ed un’altra mostra collettiva intitolata “This is Japan”.  La mostra nasce dall’idea di presentare le tendenze contemporanee giapponesi e inserirle nel contesto delle principali correnti neopop contemporanee oltre che nelle principali tendenze del mercato dell’arte.
Ho scelto il Salento per due motivi. Dovuto alle radici della mia famiglia è un posto che conosco profondamente con tutte le sue idiosincrasie sin dall’infanzia. Forse si tratta di una sfida ma credo ci siano moltissime persone interessate all’arte contemporanea e pochi spazi museali o espositivi all’infuori di Lecce, pur essendoci un bacino d’utenza molto grande, specialmente nei mesi estivi. La nostra idea è offrire un prodotto culturale di qualità con un punto di vista glocale integrando le principali tendenze internazionali con attività culturali collaterali alla mostra nel contesto del territorio.
Nonostante la singolare poetica che caratterizza le distinte personalità presenti in mostra, la visione figurativa che accomuna questa generazione di artisti a confronto, può essere considerata anche un limite del linguaggio e della cultura pop giapponese ri- americanizzata?
Sempre mi è sembrata interessante l’arte contemporanea giapponese ed il suo riflesso nella società dal punto di vista antropologico e sociologico.  Sebbene una grande crescita economica abbia proiettato al mondo l’immagine di un paese dal grande sviluppo teconololgico, il Giappone vive da svariati anni una grave crisi economica: la disoccupazione e la precarietà lavorativa sono diventante costanti nella vita quotidiana dei giapponesi e nelle creazioni degli artisti. Questo, nonostante tutto, invece di mostrarsi come una constatazione dello stato del mondo ed offrire una visione più realista o concettuale si converte in una opportunità per aprire le porte all’immaginazione ed all’estraneo. Così molti artisti contemporanei giapponesi presentano un mondo personale pieno di visioni strane, quasi poetiche e si fanno domande sulla frontiera tra visione e percezione, creando un mondo onirico e delicato.
In alcuni casi si tratta di un mondo onirico e sorprendente con colori acidi generati al computer: un universo che si muove a metà tra l’incubo e l’angustia ed i suoi personaggi spaziano tra la magia e la violenza della realtà. In altri casi la peculiarità radica nell’originalità e nel potere delle immagini della cultura popolare giapponese che si muovono in un terreno intermedio che va dal tradizionale all’innovazione. Sicuramente riflettere sulle principali differenze tra culture orientali ed occidentali. Credo che la parola Superflat lo spieghi perfettamente. Questa idea artistica ricorda la mancanza di profondità emotiva della società giapponese contemporanea e richiama il “piatto” come un valore proprio e autoctono, derivato dalla pittura tradizionale e dal mondo dei fumetti e dei cartoni animati, in contrasto per esempio con la tradizionale profondità prospettica della pittura occidentale del Rinascimento.
Per comprendere la teoria in profondità, è essenziale comprendere l’idea di Murakami che in Giappone la percezione di due livelli differenti di cultura, una “alta” o nobile in contrapposizione ad una cultura popolare di massa, non è mai esistita nella stessa forma che in Occidente.Come indica il teorico Hiroki Azuma: “La cultura otaku è il resultato della giapponizzazione della cultura pop nordamericana. Nonostante, Murakami qui ha l’intenzione di riportarla alle sue origini, ossia riamericanizzare la cultura otaku, riamericanizzando la cultura nordamericana giapponizzata. Il superflat non è dunque il successore autentico del pop, bensì il suo figlio illegittimo e falso, una sorta di ibrido bastardo”.
Quindi non lo definirei un limite del linguaggio, semplicemente un discorso di evoluzione e di differenze estetiche dalle principali teorie artistiche occidentali.
I numerosi personaggi rappresentati da Murakami, come quelli del Superflat Museum series, sono caratterizzati dalla presenza di più occhi, cosa si cela dietro questa ossessione oculare?
Si riferisce al modello di bellezza all’occidentale.  Gli “occhi all’occidentale”, più grandi e rotondeggianti, e o il “naso alla francese” sono le nuove icone della bellezza nipponica di inizio Terzo millennio, tanto da aver determinato un vero e proprio boom di interventi di chirurgia estetica. Numerose persone, non solo donne, vi si sottopongono annualmente per cambiare i tradizionali occhi a mandorla.
Difficile spiegare quali siano le ragioni più profonde che spingono tante giovani a sottoporsi a questi trattamenti: la moda, i modelli che vengono dal mondo del cinema, il fascino dell’Occidente.
Ma forse, anche il desiderio di sentirsi sempre giovani e belle avendo quello che non si ha per natura, ovvero un viso considerato più armonioso e affascinante e con tratti differenti , insomma gli occhi sicuramente sono la metafora  del mito della “bellezza all’occidentale”.
Takashi Murakami, Superflat Museum series
Takashi Murakami, 
Superflat Museum series
Bambini cattivi, fiorellini sorridenti, ragazze succinte, strani funghetti e psichedelici topolini chi sono tutti questi personaggi ed in che modo legano tra loro ?
L’universo fantastico dei lavori di Murkami evoca la condizione mentale della società giapponese, che ha superato incoscientemente il trauma bellico, sviluppando un lato infantile consumistico e oscuro, che ricorda il Pop di Andy Warhol, anche se si allontana dalla matrice densamente spirituale che caratterizza la poetica di questo autore. Le sue sculture ed i suoi quadri rappresentano una spiritualità fantascientifica e metaforica che appartiene al nostro presente ed in cui il male, si nasconde in modo sottile nella malinconia dei suoi personaggi . L’universo dei comics è il mondo preferito  dell’artista e lo rielabora nei suoi quadri e nelle sue sculture attraverso immagini manga e anime, creando personaggi dalla fisionomia ibrida, a metà tra alieni e cartoni animati, colori e forme nate da un mondo completamente inventato.
Agli occhi di molti visitatori la mostra potrebbe essere vista inconsueta nell’immaginario figurativo, qual è la loro reazione ?
Credo che questo discorso si possa assimilare in generale alla reazione  rispetto all’arte contemporeanea in generale. Prima della fine degli anni sessanta  la maggior parte delle opere poteva essere etichettata facilmente come frutto di una particolare scuola pittorica o determinate tendenze.
Nella storia e nella critica d’arte, specialmente nel XX secolo,  esistono manifestazioni artistiche che si discostano deliberatamente da ogni forma di rappresentazione che abbia diretto riferimento con l’esperienza sensibile o con la figurazione. Non parlo solo dell’astrazione, dopo la Seconda Guerra mondiale  sotto la denominazione di arte non figurativa si sono raggruppate esperienze artistiche che vanno dall’action painting o pittura gestuale alle varie esperienze dell’informale europeo.
In alcuni casi la materia  impiegata nelle nuove espressioni artistiche assume un’importanza determinante per l’esigenza di trovare un linguaggio diverso, in altri casi si arriva a parlare di arte concettuale e personalmente le tendenze artistiche contemporanee che più mi interessano, non sono figurative.
In un periodo di crisi economica e culturale, qual è la risposta delle istituzioni “private” e “pubbliche” nei confronti delle proposte innovative da parte degli operatori culturali?
Sicuramente è necessario trovare sinergie di interessi tra pubblico e privato, soprattutto attraverso il turismo culturale o il marketing territoriale. La cultura o il patrimonio sono risorse da tutelare, valorizzare e promuovere, ma anche motore di crescita economica e turistica, ciò necessita per il suo sviluppo del coinvolgimento di differenti professionalità e competenze. Il prodotto culturale  si caratterizza per una dimensione organizzativa di tipo progettuale e per la complessità, sempre più rilevante al giorno d’oggi, derivante dai contenuti artistici, dalla varietà e variabilità del governo dei molteplici processi realizzativi e da una preponderante componente del fattore umano.
La cultura può diventare sicuramente uno dei motori dello sviluppo cittadino: l’output che l’investimento culturale può innescare non si limita a creare un, seppur virtuoso, flusso di denaro, ovvero la ricchezza è meramente economica. Vi sono beni e servizi che non possono essere suscettibili di una valutazione meramente monetaria, il cui valore è per definizione considerato intangibile. Attraverso l’investimento in attività culturali si aumenta il livello intellettuale del capitale sociale che vive di relazioni, interscambio di conoscenze e cooperazione. Basta pensare all’effetto Guggenheim su Bilbao. È chiaro che la cultura non possa essere considerata la panacea di tutti i mali, ma è importantissimo valorizzare le esternalità positive che ne derivano.
Giuseppe Arnesano

martedì 25 giugno 2013

SCIPIONE PULZONE DA GAETA A ROMA ALLE CORTI EUROPEE Gaeta, Museo Diocesano, Palazzo De Vio, 27 giugno-27 ottobre 2013


La prima mostra interamente dedicata alla produzione artistica del maestro gaetano Scipione Pulzone (1540 ca. Gaeta - 1598 Roma), ideata da  Anna Imponente, si confronta con il territorio di origine del pittore.
Sono stati eccezionalmente ottenuti prestiti dal Metropolitan Museum of Art di New York, dalle Trafalgar Galleries di Londra, dal Kunsthistorisches Museum di Vienna, dal Museo del Patriarca Real Colegio y Seminario de Corpus Christi de Valencia, dal Musée du Temps di Besançon, dal Museo de la Colegiatadi Castrojeriz (Burgos), dalla Galleria degli Uffizi e dal Palazzo Pitti di Firenze, dalle Gallerie del Polo museale romano. La mostra Scipione Pulzone. Da Gaeta a Roma alle Corti europee, a cura di Alessandra Acconci e Anna Imponente, è presentata in collaborazione con la Presidenza del Consiglio della Regione Lazio, il Comune di Gaeta e la società di servizi Munus, presso il Museo Diocesano di Gaeta. Con questa mostra la Soprintendenza per i Beni Storico Artistici ed Etnoantropologici del Lazio, diretta da Anna Imponente, si pone l’obiettivo di indirizzare il pubblico verso la scoperta e la migliore valorizzazione della realtà artistica del territorio laziale attraverso alcuni dei più importanti capolavori, presentandoli nell’ambito di un’esposizione monografica pensata come iniziativa dal taglio scientifico e nel contempo divulgativo.
Il progetto espositivo si articola in sei distinte sezioni. La prima è dedicata agli esordi e comprende quattro dipinti d’età giovanile. A seguire, la sezione dedicata alle opere realizzate su commissione dei Medici e ai ritratti di alcune gentildonne che rappresentano al meglio il genere pittorico nel quale Scipione diede prove che gli valsero il riconoscimento da parte delle più esigenti cerchie dell’élite sociale del tempo.
La terza sezionela nuova icona, rappresenta la nuova tipologia di icona devozionale di grande successo, inaugurata da Pulzone, tanto da aver stimolato una numerosa serie di repliche e copie. Si tratta di un insieme di dipinti – in diversi casi restaurati per l’occasione espositiva – mai apparsi in pubblico. La quarta sezione, dedicata alla produzione di arte sacra qualifica Pulzone come apprezzato interprete dei princìpi ideali ed estetici della Controriforma. La quinta sezione riguarda la committenza della famiglia Colonna dalla quale è giunta la più convinta adesione alla mostra con il prestito eccezionale del Ritratto di Marcantonio II Colonna. Infine nella sesta sezione, dedicata ai ritratti di papi e cardinali, si è evidenziata la fama conquistata da Scipione, e mantenuta per gli ultimi tre decenni del XVI secolo,  secondo la quale egli era il più bravo e ammirato pittore di ritratti, tanto da ricevere la commissione delle immagini ufficiali di quattro pontefici.
L’esposizione offre l’opportunità di ammirare dipinti firmati e datati, riuniti e messi a confronto per la prima volta secondo il criterio tematico e cronologico, insieme alle opere di incerta attribuzione per una stimolante occasione di vaglio critico. 
 La mostra, ideata da Anna Imponente, è a cura di Alessandra Acconci e Anna Imponente. Catalogo di Alessandra Acconci e Alessandro Zuccari, Palombi editori.

Fonte: Ufficio Stampa della SBSAE del Lazio 

lunedì 24 giugno 2013

Di Passione e Musica: Gabriella Martinelli si racconta...

Quello del Caffè Latino a Roma è stato un concerto pieno di tante emozioni ed energie, vissuto in prima persona dalla giovane cantante Gabriella Martinelli. Dal palco del live club di testaccio la cantautrice pugliese, insieme alla sua virtuosa band, ha raccontato storie e canzoni che nascono da personali intrecci tra brani di vita quotidiana e scritture estemporanee. Il sound brillante, che caratterizza gli accattivanti pezzi di Gabriella, si compone di variegati ed eleganti flussi musicali che dal jazz al funky s’armonizzano in un originalissimo e ben elaborato pop d’autore. I dinamici arrangiamenti, eseguiti da Matteo Bottini (Chitarra), Toto Giornelli (Basso), Massimo Di Cristofaro (batteria), Edoardo Simeone (Tastiera) e Duilio Ingrosso (Sax), sostengono la vigorosa e raffinata voce di Gabriella che, con semplicità riesce a volteggiare melodicamente tra le policrome sfaccettature stilistiche. Dopo tanti Festival, concerti, l’avventura a The Voice e la collaborazione con Alberto Bertoli, è in arrivo il disco “È tempo di cambiare”, un lavoro discografico che, come sottolineato da Gabriella, risulta «sofferto e carico di emozioni». Dopo la serata romana abbiamo intervistato Gabriella Martinelli
Come nasce la tua passione per la musica?
Mah sarà stata l’aria Pugliese, un gruppo di amici troppo più spavaldi di me,  le canzoni in macchina di mia madre:  decido di frequentare un corso di chitarra da bambina. Poi il conservatorio, un primo corso di canto corale: nella musica “la possibilità di dire”. A 18 anni finito il Liceo e il quinto anno di Conservatorio, decido di partire per Roma e provare a vivere di sola musica.
Il 5 Maggio del 2012, in compagnia dei tuoi musicisti, hai preso una chitarra ed un microfono e da Roma sei andata a Milano per cantare le tue canzoni  sotto le radio e le case discografiche, come è nata questa idea?
 Si, il 5 Maggio dello scorso anno convinco il mio chitarrista ed un tastierista ad accompagnarmi sotto le radio e le major Italiane per far ascoltare le mie canzoni senza solite rincorse al telefono e cd fra cd nelle ceste. Compro un ampli a batteria e mi scotcho addosso un mega cartellone: una protesta la mia? ..forse, anche! per un attimo la sensazione di aver distrutto il sistema.
Hai partecipato al programma di rai 2 The Voice Of Italy cosa pensi sulle continue polemiche dei talent show dibattute tra la qualità del prodotto musicale ed il criterio televisivo non musicale?
Viviamo in un’epoca complessa: paura del nuovo, sfiducia nel vecchio, il ricordo di qualcosa di buono ..sognando l’America. C’è crisi, nei portafogli tanto quanto nelle teste ..nelle case, nella musica. Forse si, adesso un talent  ..la televisione: il mezzo, può aiutare un artista emergente ad avere visibilità. Quella che i discografici chiamano promozione gratuita. Senz’altro può rappresentare una buona occasione per far parlare di sé, purché l’artista sia di contenuti.  Ma mai un punto d’arrivo! .. tantomeno quello d’inizio!! All’interno di un talent sicuramente c’è musica, ma chiaramente non solo quello. Il talent è un gioco con le dinamiche dei giochi : un solo vincitore, la gara, lo show. Io adoro mettermi in gioco e nel 2009 X Factor con Morgan,  nel 2012 ..The Voice: un giorno leggo sul web l’annuncio per un casting di voci. M’incuriosisce la possibilità di potermi raccontare esclusivamente attraverso la voce, cosi decido di presentarmi con un brano di Luigi Tenco. Ma ..tra i miei reality preferiti: la strada, i palchi e i garage con i cartoni delle uova.
In questo periodo registri con la tua band i brani del prossimo disco, ci racconti come nasce questo nuovo progetto artistico?
Dagli anni del Conservatorio ho cercato confronti con musicisti della mia età, della mia scuola. Nei miei viaggi tante collaborazioni: a molti devo la mia crescita artistica, con alcuni ho scritto canzoni, con altri ho capito esattamente cosa non fosse per me. Ad un certo punto del mio percorso ho scelto chi avere al mio fianco e la gran figata è essere stata scelta: cinque meravigliose teste a suonar le mie canzoni. La mia band! Arrivo in sala con una chitarra, voce e una nuova idea: insieme diventa canzone e sul palco vita. Siamo insieme anche nella stesura del disco, nato dall’esigenza di fermare storie sin’ora raccontate sempre e solo live. Per noi droga: ne siamo completamente immersi e schiavi del tempo che ci porta via, attendiamo la fine, possibile per fine estate. Edoardo Simeone alle tastiere, Matteo Bottini alle chitarre, Massimo Di Cristofaro alla batteria, Duilio Ingrosso ai sax e Toto Giornelli al basso.
Dai primi anni ad oggi, in quale direzione si è evoluto il tuo sound?
Il mio percorso musicale è iniziato con Bach, Tàrrega e Sor: studi classici ..che mettevano un po’ in crisi la mia adolescente inquieta anima rock. Ho iniziato a scrivere da piccola pensieri che seguissero dei giri di chitarra dettati dalla voglia di dire. A 18 anni sono arrivata a Roma con idee molto chiare: dovevo “spingere” le mie canzoni. Durissima ma ..possibile! Diecimila lavori di contorno: dalla cameriera al pagliaccio per le feste, sino alle discoteche. “Canta e improvvisa, un po’ come facessi jazz” mi disse un amico dj, il primo.. la prima volta! Grazie a tutto questo la cantautrice ha potuto “campare”.Il mio avvicinamento alla musica dance mi ha vista coinvolta in numerose collaborazioni: produzioni con dj più o meno noti, partecipazioni a serate nei grandi club house Italiani, voce ufficiale del party Muccassassina nell’anno 2008-2009, l’uscita di un primo album ‘Oltre la follia’ con distribuzione Universo. Il sound dalla cassa spinta non ha mai distratto la poesia della cantautrice: compare a tratti nei suoi colori anni ’80 e si confonde nelle sue riflessioni acustiche.
Quanto c’è di te e di quello che vivi nei tuoi testi e nella tua musica?
Ho iniziato scrivendo di me: nelle mie prime canzoni c’è tanto di Gabriella. “Ragazza Pirandelliana” è il romanzo dei miei primi anni Romani: ‘uno nessuno centomila’ volti di un Moscarda alla ricerca di sé fra sé, tra gli altri ..tanti, nessuno, forse qualcuno. Lei, artigiana di una vita cieca si guarda allo specchio  ..’ mentre il suo pianto bagna un sorriso un po’ ingenuo’. Viaggiando e scoprendo l’amore ho iniziato a spostare lo sguardo da me. Mi diverte disegnare i personaggi e nei Caffè nascono le storie.  Parole e musica insieme: la chitarra aiuta il testo.
Attualmente stai collaborando al nuovo disco Alberto Bertoli, figlio del grande Pierangelo, come è nata questa ennesima sfida?
Una sfida meravigliosa. E’ incredibile: io ascoltavo papà Bertoli nella pandina verde di mia madre ..una volta, lei mi portò ad un suo concerto e io sfacciata come la morte aspettai la fine per avvicinarmi a lui e dirgli “Sà che anche io scrivo?!” (che bimbaminkia!), lui mi sorrise e mi rispose “..probabilmente sei una persona speciale”. Sicché, appena un mese fa pubblico la cover di “A muso duro” in un messaggio privato ad Alberto Bertoli (figlio di Pierangelo Bertoli), stimatissimo cantautore Emiliano,  e ricevo un suo invito a partecipare alla registrazione delle voci del suo disco in uscita, prodotto dai Nomadi. Un’esperienza fortissima. La vita è assurda, il destino è ubriaco ..almeno il mio. Tornando a casa dalla session in studio, piangevo (davvero troppo felice!)
 Hai viaggiato e viaggi spesso per lavoro, sempre in giro per l’Italia tra concerti, prove e festival. Con quali occhi una giovane cantante e compositrice vive il mondo del cantautorato italiano?
Si parla poco del cantautorato italiano ..in Italia, ancor più tra giovani. Lo noto nella mia generazione, ancor più tra i piccoli. Si ascoltano le melodie, si cantano poco i testi. Mi ha sempre affascinato la figura del “cantautore”: l’autore che interpreta i suoi pensieri a servizio degli altri. L’infermiere delle nostalgie, il maestro delle speranze, lo scrittore insonne che sul palco sveglia ..e si sveglia. Lunga vita agli interpreti, tra l’altro adoro la Mannoia, Mia Martini..la Dea Mina. Ma ho sempre pensato che il cantautore avesse delle responsabilità in più.
Cosa ascolti nel tuo Ipod?
E nel mio ipod non mancano Ivano Fossati, Lucio Dalla, Carmen Consoli, Edoardo Bennato, Francesco De Gregori, Lucio Battisti, Samuele Bersani, anche Alex Britti a tratti mi prende (la sua “Milano” trovo sia un capolavoro),Mannarino una scoperta da amiche Universitarie, l’ultimo Jovanotti ha un gran perchè,
ovviamente il maestro Bertoli e se mi chiedi di guardare oltre la Penisola: il Boss, Damien Rice, Ani Di Franco, Tom Waits, Bob Dylan “a ruota”!
Da pugliese trapiantata a Roma come vedi la situazione musicale nella tua terra?
La Puglia è terra di artisti!  terra della musica, della poesia, della bellezza ..del mare. Insomma guai a chi ce la tocca! E’ una regione ricca culturalmente, ma che temo abbia un po’ paura ad ammetterlo. ‘Come la grande figa che si sente un po’ un cesso (rende l’idea?)’ E poi un po’a malincuore ti dico che noto si tende a valorizzar poco gli artisti del territorio, soprattutto se emergenti. I grandi tra l’altro ce li abbiamo tutti noi : Renzo Arbore, Caparezza, i Sud Sound System,  Negramaro, Lino Banfi, Albano, Dolcenera,  Modugno, Anna Oxa, Raf.
Dacci qualche anticipazione sul futuro!
In arrivo il disco: sofferto e carico di emozioni. “E’ tempo di cambiare”. Quest’estate in giro per i club e le piazze Italiane: il 12 Luglio nelle Marche, il 13 a Roma, il 17 a MIlano, ad Agosto ospiti all’Etruria Eco Festival. In Puglia???!
Giuseppe Arnesano

InFesta contro le Mafie: Paolo Paticchio presenta "Post"

Due giorni da vivere In Festa contro le mafie, così Lunedì 27 e Martedì 28 Maggio 2013 presso lo Spazio Ex Gil, in Largo Ascianghi 5 nelle vicinanze di Porta Portese a Roma, l’associazione Libera darà il via ad una grande manifestazione che con impegno e sinergia propone da sempre una lotta civile ed educativa contro tutte le mafie. Un evento corale dove sarà di scena la cultura che, attraverso la presentazione di libri, rappresentazioni teatrali, concerti e dibattiti promuove quelle nobili e democratiche idee di legalità e giustizia. Tra gli ospiti di In Festa contro le mafie saranno presenti Luigi Ciotti, presidente di Libera, il Ministro dell’Istruzione e della ricerca Universitaria Maria Chiara Carrozza, lo storico Franco La TorreAndrea Campinoti presidente di Avviso Pubblico e tanti altri, a conclusione dell’evento il concerto dei Têtes de Bois. Nel pomeriggio di Lunedì 27 ci sarà la presentazione del libro “POST – 13 storie dopo l’89 che non sapevano di diventare mito” curato da Paolo Paticchio e pubblicato da Lupo Editore. Il libro dice Paolo: « vuole essere un umile tentativo che punta ad avviare un percorso[…]; ora è arrivato il momento di uscire allo scoperto e per farlo è necessario raccontarsi[…].
In occasione dell’evento romano abbiamo intervistato Paolo Paticchio
Copertina di POST
Raccontaci come nasce l’idea di “Post”?
“POST” nasce dal tentativo di provare a dare una risposta ai sentimenti di impotenza e di rassegnazione che iniziano sempre più a serpeggiare nella mia generazione. Il libro vuole essere un umile tentativo che punta ad avviare un percorso, dimostrando che le etichette e gli stereotipi che provano ad appiccicarci non sono necessariamente veri ma che, anzi, intorno a noi, nella nostra contemporaneità, ci sono storie, percorsi ed avvenimenti che possono essere gli elementi dai quali ripartire.
In che modo sono state scelte le 13 storie e qual è il loro punto di forza?
Ogni storia è raccontata da un giovane pugliese che si contraddistingue oggi, nel suo campo d’azione. In collaborazione con i vari autori abbiamo valutato alcune storie, sulle quali successivamente abbiamo lavorato. Il grande punto di forza delle 13 storie possiamo ritrovarlo nelle parole “costruire insieme”. Queste storie, tutte accomunate dal loro essere “post ‘89”, hanno la forza di comunicare che i cambiamenti, le svolte ed i miglioramenti partono da idee innovative, che si nutrono della forza delle persone normali che scelgono però di non lasciarsi andare nell’inerzia della vita quotidiana. Nessuna di queste storie pensava di diventare un possibile “mito” mentre operava: piuttosto ogni singola storia ha cercato di mettersi al servizio di una comunità adoperando le proprie capacità. Il vero punto di forza è che nessuna di queste storie, presa singolarmente, potrebbe essere un “mito”: solo se viste collegialmente e immaginando il percorso che si può avviare diventano, tutte insieme, un mito generazionale.
Se le generazioni precedenti hanno infranto i nostri “sogni”, in che modo possiamo credere nel presente e dare il buon esempio per il futuro?
Ogni ragazza ed ogni ragazzo che, preso dallo sconforto dell’esser troppo piccolo per poter contare si rende conto che una volta messo in moto il meccanismo dell’attivazione e anche quello della cittadinanza, nota che intorno a sé esistono tanti fratelli e sorelle maggiori, tanti coetanei, che cambiano quotidianamente con coraggio il loro percorso di vita e quindi il proprio territorio. Si scopre così che il nostro Paese ha un meraviglioso fermento “ombra”. Ora però è arrivato il momento di uscire allo scoperto e per farlo è necessario raccontarsi. Post è anche il tentativo di auto- raccontarsi parlando dei propri punti di riferimento. Solo così avremo una generazione che potrà smettere di inseguire. E iniziare a correre.
 È vero che non esistono più i “miti” di una volta? Se si, chi sono quelli attuali e cosa possiamo apprendere da loro?
Fortunatamente non esistono più i miti di una volta. Non abbiamo bisogno di altri eroi o martiri da stampare su di una maglietta a loro insaputa. Non sventoleremmo mai una bandiera con uno dei volti di POST perché l’informazione e la condivisione della conoscenza ci ha permesso di essere molto critici e selettivi. Dalle storie di POST si può apprendere un concetto tanto banale quanto forte: “E’ possibile”. E’ possibile affermare le tue idee anche quando hai i carri armati che ti remano contro, è possibile suonare una musica che non sia solo luci e paillettes, è possibile trovare una cura per il tuo male condividendola con la comunità “virtuale”.
Ci sono generazioni e generazioni, alcune delle quali, negli ultimi anni, si dimostrano irriverenti e prepotenti nei confronti dei tempi moderni, come possono coloro che rappresenteranno le future generazioni rinnovare quel senso di responsabilità morale, civica e politica che oggi giorno va disgregandosi?
Investendo sulle nuove generazioni. Diamo un segnale forte alla mia generazione e a quella che si sta affacciando: dimostriamo che c’è un Paese che crede in loro e quindi nel suo futuro. Solo se faremo sentire la vicinanza e la voglia di scommetterci un ragazzo potrà apprezzare il suo Paese. Fino a quando l’unico biglietto da visita che daremo alla nuove generazioni sarà le scuole che cadono a pezzi e un sistema della formazione in frantumi, difficilmente un giovane potrà sentirsi valorizzato dal suo Stato.
Questo è un libro che rappresenta un “non finito”, ci sono delle idee in cantiere a riguardo?
Il libro sta suscitando un interesse che abbiamo riscontrato sia nella prima presentazione ai Koreja, che in quelle fatte a Torino. Lunedì saremo a Roma, ospiti di Libera: sarà una bella occasione di confronto con un mondo che sta cambiando la coscienza degli Italiani con un lavoro continuo e capillare. Non ci siamo fatti una road map definita: vogliamo vedere per ora cosa nasce da queste occasioni di confronto. Innescato il meccanismo, l’opportunità di avere con noi un libro “non finito” potrebbe innescare un lavoro.

Giuseppe Arnesano

“Non c’è più tempo per aspettare domani”

Un momento dell'adunata nella
chiesa di San Giuseppe Artigiano

Una domenica uggiosa ha accolto numerosi storici dell’arte per un’inedita adunata nel centro storico dell’Aquila.  La manifestazione “L’Aquila 5 maggio 2013. Storici dell’arte e ricostruzione civile”, ideata e promossa da Tomaso Montinari, ha voluto portare all’attenzione nazionale l’annosa questione aquilana. Una questione ancora irrisolta che, dal giorno del sisma in poi, è stata disgregata anche nell’intimo di quel tessuto urbanistico e civile; per Montinari L’Aquila non è una questione isolata, ma bensì una faccenda italiana. Con forza, coesione e conoscenza gli storici dell’arte italiani vogliono restaurare la città di pietra e smuovere cittadini ed istituzioni per “restituire L’Aquila ai suoi abitanti ed a tutti gli italiani”. Una rinnovata “ricostruzione civile” appunto che, all’epoca dei drammatici fatti,  l’allora governo non ha saputo o voluto attuare condannando definitivamente alla decadenza un’intera identità. Dopo l’incontro nei pressi della Fontana Luminosa, un colorato corteo ha attraversato silenziosamente le dissestate e desolate strade del centro storico, un panorama che, nonostante tutti gli interventi di messa in sicurezza rimane, ancora dopo quattro lunghi anni, terribilmente sconcertante.  Il neoministro dei Beni ed Attività Culturali, Massimo Bray, dopo aver risposto ad una domanda sulla ricostruzione della città, dichiarando che: «è troppo facile dire faremo di tutto. Sto cercando di capire per farmi un’idea. Mi sembra che il ministero abbia competenze e risorse di grandissima qualità», ha inoltre risposto anche ad una nostra domanda sulle polemiche riguardanti l’accorpamento tra il ministero dei beni culturali e quello del turismo nate all’indomani del Governo Letta: «mi sembra una scelta molto giusta» ha affermato Bray,  «e sono sicuro che ci sarà molto da lavorare per capire qual è il modo migliore per rendere funzionale ed operativa questa scelta». Nel primo pomeriggio il lungo corteo si è poi riunito nella restaurata chiesa di San Biagio ad Amiternum, oggi intitolata a San Giuseppe Artigiano, dove tra le nuove e suggestive pale d’altare eseguite barese Giovanni Gasparro, il numeroso corteo degli storici dell’arte, funzionari del Mibac, dottorandi e studenti ha occupato ogni singolo spazio disponibile in attesa degli interventi dei relatori. Tra tutti il discorso conclusivo del professor Settis che dall’ambone ha tuonato con parole severe, decise e commoventi. Secondo Settis l’iniziativa degli storici dell’arte è una forte presa di coscienza, che serve a ricordare a tutti gli italiani che le città non si abbandonano, i centri storici, come quelli di tutte le città d’Italia, devono continuare ad essere i luoghi della vita civile. Nel caso dell’Aquila la città deve essere ricostruita e ridata agli aquilani che devono riprendersi il loro centro storico ed abbandonare le improprie new town simboli di veri e propri luoghi di disgregazione sociale. Una giornata importante quella del 5 maggio, soprattutto per quel senso civico e d’obbligo morale che rappresenta e deve rappresentare la speranza e concreta realizzazione di un futuro migliore per gli aquilani, per noi e per le future generazioni.
                               
                                                                                                                                         Giuseppe Arnesano