sabato 18 settembre 2010

E la vita cocumola...

Pubblicato sul Il Paese Nuovo il 30 maggio 2010

« Un paese che si chiama Cocumola, è come avere le mani sporche di farina e un portoncino verde color limone. Uomini con camicie silenziose fanno un nodo al fazzoletto per ricordarsi del cuore. Il tabacco è a seccare e la vita cocumola fra le pentole dove donne pennute assaggiano il brodo».
(Poesia tratta da “La luna dei Borboni” di Vittorio Bodini)


“…Era il Maggio…” piovoso, e in questa domenica di fine mese raggiungiamo una piccola frazione del comune di Minervino di Lecce, situata nella zona orientale delle serre salentine, a poca distanza dalla costa adriatica di Santa Cesaria Terme e Castro, e conosciuta con il nome di Cocumola.
Il territorio di Cocumola s’adagia tra i secolari ulivi e gli atavici dolmen (Muntarruni e Monte Culumbu) e menhir (Croce e Pizzilonghi-Urpinara) che custodiscono le testimonianze di tempi remoti, dai quali emergono due ipotesi circa l’origine del toponimo, la prima è legata al termine latino “Cumulus” che significa “granaio” poiché nell’antica ed agreste civiltà messapica questo lembo di terra dal sottosuolo calcareo, divenne un centro di accumulo dei prodotti del raccolto. Questi arcaici magazzini scavati nel banco calcare a forma di imbuto capovolto e con pareti circolari e levigate riempite di paglia, erano utilizzate per conservare le provviste nei mesi invernali, sigillate con un enorme blocco di pietra bianca.
L’ipotesi più accreditata sembra essere quella che deriverebbe dal nome di un piccolo vaso di creta la “cucuma” prodotto dalle botteghe artigiane locali. Il borgo, nonostante abbia vissuto all’ombra dei grandi centri limitrofi, è riuscito a persistere all’incedere lento e turbolento della storia, passando dai greci e successivamente al dominio romano, viene consacrato al rito greco durante la dominazione bizantina, attualmente testimoniata soltanto dalla Via di San Gregorio, sulla quale venne edificata l’omonima Chiesa, distrutta in seguito alla latinizzazione del territorio. Nel corso dei secoli il feudo di Cocumola cadde sotto il dominio di numerose famiglie signorili, primi fra tutti i Sangiovanni che ottennero il casale direttamente dal re Guglielmo II di Sicilia, detto il Buono (1153 –1189), discendente della famiglia degli Altavilla.
Nel 1277 il feudo venne spartito in due differenti possedimenti, il primo alla suddetta famiglia, mentre il secondo andò in quota sotto la dipendenza della famiglia Sambiasi; il nucleo cittadino si riunificherà nel XVII secolo e solo nel 1806, anno dell’entrata in vigore del provvedimento sull’eversione della feudalità voluta da Giuseppe Bonaparte governatore del regno di Napoli, che Cocumola fu aggregato a Minervino di Lecce. Percorrendo le quiete vie del centro, caratterizzate dalle scalcinate costruzioni dei tempi che furono, proseguiamo lungo via Italia nuova dove vi è edificata la tardo-settecentesca Chiesa Madre dedicata al santo protettore San Nicola. Il prospetto originario presentava solo il corpo centrale, corredato da un rosone mediano e da una nicchia collocata al secondo ordine terminante in timpano e disposti in asse con il portale maggiore. L’aggiunta successiva delle navatelle laterali, più basse rispetto alla navata centrale, completa la facciata dandole una tripartita scansione dettata dalle alte lesene ioniche. Gli ultimi rifacimenti eseguiti nel 1906 hanno apportato l’edificazione dell’attigua torre dell’orologio. Superata la Chiesa dal prospetto neoclassico, la suddetta via s’affaccia sulla triangolare piazza San Nicola circondata dai settecenteschi e ottocenteschi palazzi signorili; un esempio architettonicamente precedente, caratterizzato da un elaborato portale dalle linee tardo-barocche e, completato da una balaustra, riguarda Palazzo Pasca edificato nella seconda metà del XVI secolo e accorpato ad una torre quadrangolare di fine quattrocento.
Prima di concludere con l’estrema sensibilità del salentino Vittorio Bodini, salutiamo il protettore della cittadina,posizionato al centro della piazza sopra una colonna votiva eretta interamente in pietra leccese per volere degli abitanti di Cocumola nel 1872.
Giuseppe Arnesano




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