lunedì 11 ottobre 2010

Dov'è il coltellino?

Pubblicato sul Il Paese Nuovo domenica 10 ottobre 2010

Patù,risalendo tra le ondeggianti serre “navighiamo” in direzione Nord-Est e costeggiando gli estremi confini del territorio magliese, seguiamo le indicazioni per raggiungere il piccolo centro di Palmariggi.
Il borgo sorge su di una collinetta anticamente conosciuta come Montejuzzo e, proprio su questo luogo si costruirono le solide basi del fortilizio di San Nicola, che secondo alcuni storici appartenne al sistema difensivo idruntino; per giunta il paese venne identificato inizialmente con il nome di Casale San Nicola. Attualmente su quei ruderi difensivi posti in piazza Garibaldi che, nei secoli passati hanno quasi sempre difeso la cittadella dalla minaccia degli invasori, dimora il Castello Aragonese edificato tra il XV ed il XVI secolo. Di quel luogo fortificato,dove oggigiorno rimangono solo modeste rovine e due torri cilindriche, si racconta che in seguito alle razzie saracene del 1480 avvenute in tutte le zone dell’entroterra, il popolo del Casale organizzasse la difesa armata e proprio nel momento in cui sopraggiunsero le truppe nemiche, d’improvviso accadde “l’evento miracoloso” ossia l’apparizione della Madonna a difesa della devota cittadinanza, che stringendo una palma nella mano allontanò da quelle terre l’esercito invasore. In segno di ringraziamento e devozione per lo scampato pericolo, la comunità decise di cambiare il nome prima in Palmarice, poi in Palmaricce ed infine Palmariggi, poiché il “neonato toponimo” assunse il significato di “palma della vittoria” o di “tu che reggi la Palma”. Da quel momento l’intera cittadinanza decise di elevare la Madonna a protettrice del paese e nel 1751, sempre nelle vicinanze del sacro episodio, venne eretta la sobria Chiesa della Madonna della Palma.
Fuori dal centro storico, percorrendo una via parallela alla strada statale che congiunge il paese ad Otranto, entriamo nella zona panoramica di Montevergine, ossia il “belvedere” di Palmariggi.
La verde e bisbigliante pineta, dominata dall’alta statua della Vergine datata al 1910,custodisce il Santuario di S. Maria di Montevergine; il silenzioso paesaggio presenta anche tracce arcaiche, rappresentate dal robusto monolite (menhir) alto circa 1 metro e 90 centimetri. Montevergine, che per gli antichi romani era il Monte Giove, deve “un’importante riconversione simbolica” al culto Cristiano poiché, nel 1595 un giovane pastorello smarritosi tra i cespugli in cerca del proprio coltellino, si avventurò in una grotta al cui interno scorse l’immagine dipinta della Vergine con il bambino fra le braccia. Altri raccontano dell’apparizione al pastorello di una bellissima donna che gli porgere l’oggetto perduto e gli raccomanda di riferire al parroco l’accaduto; pochi giorni dopo, Don Francesco Antonio Federici scoprì che nel luogo dell’apparizione vi era una cripta bizantina, dove sul lato orientale s’ammira ancora il mezzobusto della Madonna. La piccola chiesetta, costruita subito dopo il miracolo, crollò nel corso del tempo, mentre l’odierno Santuario dal semplice prospetto venne ricostruito nel 1707, il suo interno accoglie quell’antica immagine mariana perennemente preservata dalle rocciose evoluzioni barocche. Rientrati nel paese si percepisce quella frenetica “atmosfera” di festa poiché questa sera si festeggia la Sagra “te lu paniri de le site” per onorare il Melograno, da sempre simbolo di fertilità e abbondanza. Il termina “sita” espresso sia in dialetto che in greco “sitos” significa: grano; mentre i “paniri” o meglio i “panari intrecciati” (cestini di vimini) rappresentano l’incontro tra la comunità e il reciproco scambio di merci.

Giuseppe Arnesano


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