martedì 27 luglio 2010

Mirò a Otranto: l’incomprensione tra segno e parola

Joan Mirò–Ilsegno e la parola- Opera grafica

Castello Aragonese di Otranto

Otranto (LE) - Dal 27 giugno al 27 settembre 2009 le stanze del Castello Aragonese di Otranto ospitano la mostra “Mirò, il segno e la parola, Opera grafica”.

La personale dedicata all’opera grafica del grande artista catalano, è stata organizzata dalla società Cooperativa Sistema Museo di Perugia e dall’ Agenzia di comunicazione Orione di Maglie.

L’organizzazione strutturale della suddetta rassegna, è stata concepita attraverso una selezione di litografie, allestite all’interno di due sale contigue del Castello.

Sono in tutto 72 le opere della prima sala illustrate da Mirò che si ricollegano a Parler seul, l’omonimo poema scritto tra il 1948 e il 1950 da Tristan Tzara poeta e saggista romeno, fondatore del Dadaismo.

La seconda raccolta contiene 13 tavole litografiche eseguite nel 1966, e intitolata a Ubu roi, personaggio grottesco, il quale rappresenta la caricatura di ogni abiezione umana; la serie è ispirata dall'opera teatrale omonima di Alfred Jarry del 1896.

Il grande successo di pubblico ha suggellato il lodevole lavoro degli organizzatori, i quali sono riusciti ad avviare una forte politica di rilancio del Castello, che prevede un programma triennale di mostre incentrato sulla produzione grafica di alcuni dei maggiori artisti del Novecento.

In questo caso, i curatori hanno proposto e divulgato un frammento poco noto al grande pubblico, dell’immensa produzione artistica di Joan Mirò.

All’interno del complesso aragonese, dopo essere passati per l’arioso cortile, una scalinata introduce al “piano nobile”; giunti nell’anticamera dell’esposizione sono presenti solo due pannelli informativi, il primo relativo alla biografia dell’artista, e il secondo che esplica in maniera concisa l’intento del curatore.

Entrambe le sale si presentano sterili, con una eccessiva illuminazione e calde, la chiusura delle finestre e l’assenza di fonti d’aria artificiale, rendono insopportabile la fruizione delle opere stesse.

L’inadeguato allestimento, ha attribuito all’importante opera grafica, un immeritato senso d’incomprensione nei confronti del grande pubblico. L’aggiunta di pannelli, all’interno delle due sale espositive, forse avrebbe esplicato in maniera più esaustiva la relazione auspicata nel titolo della mostra: “il segno e la parola”, e avrebbe reso più scorrevole e leggera la lettura dell’intera esposizione.

Nella mostra in questione, il rapido segno grafico dell’artista catalano, si dissocia dalla parola espressa in lingua francofona usata nei versi di Tzara, aumentando in questo modo, il divario concettuale tra l’arte contemporanea e il pubblico di visitatori e turisti, che vengono richiamati all’attenzione dal “nome”dell’artista. L'idea stessa di mostra-evento è ineluttabile, ed è in un'occasione come questa anche un suo limite,di contro, invece di rinchiudere l’arte contemporanea tra i bastioni edificati dagli “addetti ai lavori”, si dovrebbe abbassare il ponte levatoio della pubblica comprensione a tutti i potenziali fruitori.

Giuseppe Arnesano


Joan Mirò 1893- 1983: cenni biografici

Il 20 Aprile del 1893 Joan Mirò nasce a Barcellona. Il padre è orafo e gioielliere, la madre è figlia di un falegname. Nel 1907 il padre lo convince a intraprendere gli studi commerciali, ma segue ugualmente le lezioni d’arte presso la celebre accademia La Escuela de la Lojna. Nel 1913 si iscrive al corso di disegno Cercle de Sant Lluc, ed espone tre dipinti a una mostra del circolo. Nel 1917 il mercante d’arte Dalmau presenta Mirò a Picabia. Il 1920 è l’anno del primo viaggio a Parigi, e nella fervida cittadina il giovane artista catalano visita i musei e l’atelier di Picasso. Mirò inizia a partecipare alle prime manifestazione pubbliche come al festival Dada alla Selle Gaveau, in seguito tre suoi dipinti vengono esposti da Dalmau nella mostra sull’arte d’avanguardia francese insieme a Picasso, Severini, Matisse, Braque, Cross. Qualche anno prima di aderire al gruppo dei surrealisti, nel 1920 l’artista scriveva: «Lavoro molto duramente; mi muovo verso un’arte concettuale che considera la realtà solo come punto di partenza e mai come fine». L’opera fondamentale, La Fattoria viene eseguita tra il 1921/22, perché segna l’esordio dell’ artista con uno stile tra ingenuo e infantile. Nel 1924 conosce Paul Eluard, Andrè Breton e Louis d’Aragon, e sempre nello stesso periodo viene pubblicato il Primo manifesto surrealista. Con il tempo l’opera di Mirò si fa sempre più astratta e le sue forme diventano maggiormente più organiche. Spesso sembra che i dipinti di questo periodo sono influenzati dalle esperienze di Paul Klee e di Wassily Kandinsky. Nel 1927 l’artista decide di trasferirsi in un atelier vicino a quelli di Jean Arp, Max Ernest, Paul Eluard e René Magritte. La vicinanza tra Arp e Mirò influenzò quest’ultimo con sinuose forme organiche che divennero parte delle modalità espressive dell’intero periodo. Nel 1930 dopo diverse personali organizzate a Parigi e dopo il debutto a New York, realizza una serie di litografie per «L’arbre des voyageurs» del poeta romeno Tzara. Nel 1936 scoppia la guerra civile Spagnola, e da questi anni in poi che il successo dell’artista si andrà affermando passo dopo passo conquistando sia la cerchia degli artisti indipendenti, sia quella degli intellettuali. Dagl’anni ’40 fino agli’80 il maestro catalano allestirà numerose esposizioni personali e collettive in giro per il mondo, realizzando anche illustrazioni di libri, scenografie e coreografie. In questo periodo della sua produzione artistica Mirò sperimenterà tecniche e materiali diversi, eseguendo assemblage con oggetti e materiali trovati, dipingeva, disegnava, e realizzava collage su carta, masonite,legno,carta vetrata e rame. Era un pittore che cercava di trascendere la pittura, di sottrarsi all’esperienze visive per condurre consapevolmente la propria arte su una via concettuale. Il 25 dicembre del 1983 Mirò muore a Palma di Maiorca e viene sepolto al cimitero Montjuic di Barcellona.

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